Alzi la mano chi di voi alla domanda “Come sarà la tua pensione?” non ha risposto: “Prima devo trovarmi un lavoro” oppure “Chissà quando andrò in pensione!”. Entrambe le risposte sono solo un modo per rinviare il problema di come mantenervi una volta smesso di lavorare. Ma sappiate che state sbagliando.
I 5 falsi miti della previdenza complementare
- Mi basta la pensione pubblica: il sistema contributivo e l’allungamento della vita significano minori pensioni in futuro rispetto a quelle odierne.
- Sono ancora troppo giovane per pensare alla pensione: iscriversi subito a un fondo pensione apporta dei vantaggi; ad esempio, dopo 8 anni di versamenti continuativi, l’aliquota di tassazione scende dal 15% all’8%.
- Quando sarò in pensione, mi serviranno meno soldi di oggi: dopo la pensione, ci aspettano sempre meno anni di vita in salute ed è meglio quindi avere da parte dei soldi per curarsi.
- Voglio essere libero di risparmiare: gli investimenti in fondi pensione possono essere riscattati in anticipo; inoltre ci sono diversi prodotti pensati a fini previdenziali, che danno possibilità di scegliere il più adatto alle proprie esigenze.
- Avrò altre entrate al momento della pensione: in realtà, gli italiani preferiscono spendere i soldi giocando al gratta e vinci che risparmiarli per la pensione.
Visto che prevenire è meglio che curare, iniziamo ad informarci sulle alternative.
Le regole della pensione in Italia
Dal 2005 è stato introdotto in Italia un sistema pensionistico complementare a quello pubblico, che, tra le altre cose, permetteva di destinare alla pensione parte del TFR (Trattamento di Fine Rapporto, ossia una porzione di retribuzione al lavoratore subordinato erogata dal datore di lavoro alla cessazione del rapporto di lavoro).
Nel 2012, la riforma Fornero ha ritardato l’uscita dal lavoro di lavoratori che avevano maturato i requisiti per la pensione e modificato la gestione patrimoniale della spesa pensionistica, introducendo il principio del pareggio in bilancio (le entrate dell’Inps non possono superare le uscite).
Negli anni Novanta, l’Italia è passata da sistema retributivo (basato sull’ultima retribuzione percepita) a quello contributivo (fondato sui contributi versati). Quest’ultimo regge solo se l’economia cresce, perché solo se si lavora, si versano i contributi che lo finanziano. Con questo sistema, salta il patto tra generazioni: ognuno versa i contributi per sé. Nel 1992 con la riforma Dini si passa a un sistema misto: chi lavora dal 1996, finisce sotto il metodo contributivo. Ma resta un problema: chi lavora e versa i contributi paga le pensioni più elevate calcolate col sistema retributivo e con quello misto. Secondo le proiezioni del “Rapporto della Ragioneria di Stato 2014”, considerando una persona che ha lavorato per 37 anni, con il metodo retributivo la sua pensione è pari all’80% dello stipendio percepito durante la vita lavorativa, mentre col è pari al 60% per i lavoratori dipendenti e al 40% per gli autonomi. Ma queste previsioni sono ottimistiche: in caso di buchi contributivi (i periodi in cui non si sono versati i contributi perché non si lavora), queste percentuali scendono vertiginosamente. Insomma: bisogna pensare fin da giovani a costruirsi una pensione complementare.
Insomma, come recita l’adagio popolare: chi ben comincia, è a metà dell’opera. Soprattutto se si tratta di risparmiare per la pensione. Per saperne di più, visita il sito www.previsionari.it e segui l’account Twitter @Previsionari.
Rigraziamo per il workshop“La previdenza in Italia – vista da Previsionari.it”: Graziano Mollicone (Head of Pension di AXA Italia), Giovanni Valli (Corporate Blogger di Previsionari.it), gli Avv. Melissa Tricarico e Alessandra Nisticò (Studio Legale Faotto Tricarico).
Valentina Magri