Non so voi, ma io nel leggere queste tre parole, una accanto all’altra, non posso fare a meno di provare una punta di diffidenza e un pizzico di scetticismo.
Partiamo dall’aspetto linguistico.
Il Sole 24 Ore scrive che il termine “work-life balance”, inteso come capacità di bilanciare in modo equilibrato il lavoro – carriera e ambizione professionale – e la vita privata – famiglia, svago, divertimento – è stato usato per la prima volta in Gran Bretagna alla fine degli anni ’70.
Poi sono arrivati smartphone, email, smart working e hanno complicato tutto. Abbiamo sì guadagnato opportunità e flessibilità da un lato, ma dall’altro siamo potenzialmente sempre agganciati al lavoro, che nella maggior parte dei casi bypassa il luogo fisico per seguirci ovunque e a qualunque ora.
L’Istat in I tempi della vita quotidiana ci offre uno spaccato non aggiornatissimo – i dati raccolti si riferiscono al 2008-2014 – ma ugualmente interessante sulle modalità in cui uomini e donne utilizzano il proprio tempo.
Sia uomini che donne nell’ultimo decennio hanno aumentato la parte della giornata in cui agiscono in modalità multitasking di circa due punti percentuali, evidenziando come sia aumentata la densità delle giornate.
Sembra che preservare il proprio Work-Life Balance diventi una missione, quasi impossibile!
Ma cerchiamo di tornare al significato delle parole e scomponiamo Work-Life Balance.
Work
L’applicazione delle facoltà fisiche e intellettuali dell’uomo rivolta direttamente e coscientemente alla produzione di un bene, di una ricchezza, o comunque a ottenere un prodotto di utilità individuale o generale ecc.
Fonte: Treccani.
Life
Dare una definizione tecnica forse è impossibile. Se siete d’accordo, intendiamola come tutto ciò che c’è oltre il lavoro (famiglia, svago, divertimento ad esempio).
Balance
Sempre Treccani ci fa notare che il significato della parola è strettamente connesso all’ambito a cui ci si riferisce – meccanica, biologia, aeronautica, sport ecc. Vi propongo una sintesi che sta bene sempre: stato di quiete di un corpo.
Quindi dovremmo: mantenerci in uno stato di quiete mentre incanaliamo le nostre energie per produrre qualcosa senza rinunciare a goderci la vita.
Già. Come?
Intanto cerchiamo di capire a che punto è il nostro Paese.
C’è una buona notizia, ed è inaspettata. È Forbes a metterla sul tavolo. Stando all’ultima edizione del work-life balance index stilato dall’Ocse – l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico – l’Italia è sul podio dei paesi con il migliore rapporto lavoro-vita privata. Si colloca infatti in seconda posizione alle spalle dell’Olanda e davanti alla Danimarca.
Gli indicatori presi in considerazione per misurare l’equilibrio tra lavoro e vita privata sono principalmente due: il tempo libero (famiglia, hobby, sport) e quello speso per la cura della propria persona (mangiare, dormire, ecc.) e la percentuale di lavoratori dipendenti che lavorano troppe ore al giorno.
Quindi, lo scenario non sembra poi così negativo. Eppure se pensiamo alle nostre giornate e a quelle delle persone che abbiamo accanto, questa positività tende a scemare.
Sembrerebbe esserci un gap tra teoria e pratica. Cosa possiamo fare?
Sempre Forbes è sceso in campo con un decalogo. Tra i consigli per coltivare il proprio Work-Life Balance ci suggerisce di:
- impedire ai modelli del passato di influenzarci;
- chiederci sempre se siamo convinti di quello che facciamo;
- vivere senza snaturarci.
Per metterla su un piano più legato alla quotidianità lavorativa, sul blog di Micheal Page si legge quanto sia importante imparare a:
- Dire “NO”. Cosa che, almeno per me, è sempre stata difficile. Ma è fondamentale. Dire NO ad un collega o, peggio ancora al capo, non significa chiudere la porta in faccia o non tenerci abbastanza. Al contrario è un modo per evitare che progetti prioritari si insabbino a causa di richieste estemporanee che magari non sono così urgenti. Proviamo quindi ad accompagnare il NO con domande per sondare i reali bisogni di chi ci sta facendo una richiesta.
- Definire le priorità. Fermarsi un attimo, fare un’analisi delle proprie performance, chiedere feedback e capire quali accorgimenti potrebbero essere messi in campo per migliorare.
Spunti utili da allenare, tenendo sempre presente un concetto fondamentale: non esiste ricetta universale o formula da applicare e via, tutti equilibrati!
La bilancia è personale e si tara a furia di tentativi, scelte, domande. Serve un grande lavoro su se stessi, è un percorso alimentato dalle domande giuste.
Cos’è veramente importante per me?
Chiediamocelo davvero. E scriviamo la risposta su uno di quei bellissimi weekly organizer planner cartacei.
Iniziamo a definire e mettere nero su bianco momenti, eventi, attività extra lavorative e trattiamoli esattamente come faremmo se fosse un impegno di lavoro: con rigore e puntualità. Non importa che sia l’estetista, il corso di zumba o una serata in compagnia delle associate di Young Women Network!
Vi consiglio di seguire il suggerimento di Nigel Marsh “it’s up to us” che ha ben espresso in questo TED. In poche parole ci dice quanto sia difficile che qualcuno venga a bussare alla nostra porta per offrirci la soluzione più giusta.
Dovremmo smetterla di guardare altrove; sta a noi come individui assumere il controllo e la responsabilità del tipo di vita che vogliamo vivere.
Un atto di responsabilità che non va delegato, rimesso nelle mani di qualcuno, che sia il nostro partner, capo o l’azienda per la quale lavoriamo. No. It’s up to us.
Capire cosa è accettabile e cosa no, mettere l’asticella fin dove è sostenibile e il dove lo decidiamo noi in base a ciò che conta davvero, alle priorità e ai progetti di vita.
Sempre secondo Nigel con dei piccoli investimenti si può trasformare radicalmente la qualità delle proprie relazioni e della propria vita.
Il mondo del lavoro contemporaneo è molto competitivo e mettere a terra questi concetti, che a livello teorico tutti condividiamo, non è affatto semplice.
Ma tanto prima o poi il momento dei bilanci arriva per tutti. Ed è allora che bisogna sfoderare coraggio per capire se c’è qualcosa che non va e provare a cambiarla.
Non c’è niente di cui vergognarsi nel volere più tempo da dedicare a tutto ciò che c’è oltre.
Questo non fa di noi professioniste meno in gamba o donne che hanno gettato la spugna e si sono sacrificate. Anzi!
Scritto da Carolina Nobile