Il coraggio? Sta fuori dalla zona comfort: è lo spazio dell’apprendimento e delle sfide. Se non ci mettiamo piede non evolveremo mai
Scritto da Carolina Nobile
Annalisa Galardi, docente universitaria di Comunicazione d’Impresa, consulente e fondatrice di The Bravery Store, di coraggio se ne intende!
Lo studia da una vita, scandagliando il modo di comunicare dei brand. Il suo focus, nonché primo amore, è la comunicazione interna, ma il suo sguardo l’ha portata ad interessarsi a tutto ciò che è digitale, di valore e di sostanza.
Non posso che cominciare dal chiederti, Annalisa, cos’è per te il coraggio e che tipo di coraggio serve oggi?
>Il coraggio è soprattutto da pensare come una destinazione piuttosto che una dotazione di partenza. Se guardate i titoli dei giornali o le affermazioni dei leader, “coraggio” è una parola che si legge tantissimo perché è l’altra faccia della paura. E di paura, in quest’anno in particolare, se n’è sentita parecchia.
Il coraggio è lo spazio che sta fuori dalla zona di comfort, quindi lo spazio dell’apprendimento. Se non ci mettiamo piede, non impariamo nulla, non evolviamo e non cambiamo. Questo non è mai stato possibile e, a maggior ragione, non lo è oggi.
Qualcuno parla di new normal, io preferisco new word.
Stiamo ridisegnando il futuro: questo fa paura perché significa perdere gli agganci con il vecchio mondo, ma la parte bella è quella coraggiosa: disegnare e costruire una nuova strada. Per arrivarci ci servono dotazioni nuove, dirompenti.
Di cosa si compone il coraggio secondo te?
>Partendo da ciò che la letteratura offre, ho provato a cercare un modo semplice di comunicare le dimensioni del coraggio che serve adesso. Riguardano tanti aspetti, tra i quali anche la comunicazione.
1.Il coraggio di DIRE
Vuol dire capacità di comunicare. Pensiamo al lockdown, alla comunicazione interna ad un’organizzazione, ma anche a quella pubblica, ai messaggi che sono arrivati per tranquillizzare o terrorizzare le persone… Ecco quanto la comunicazione sia un nodo centrale del coraggio.
Saper comunicare vuol dire sentire di poterlo fare, avere intorno a sé uno spazio di fiducia adeguato.
Da una parte è un tema di competenza, dall’altra serve il coraggio di creare contesti in cui la comunicazione possa fluire libera e sicura.
Il coraggio di dire ha anche una declinazione un po’ speciale, quella legata al prendere posizione – vi consiglio di leggere l’ultimo libro di Philip Kotler Brand Activism.
È molto interessante osservare come il coraggio di dire oggi lo stiano esercitando soprattutto le imprese.
L’Edelman Trust Barometer Report 2019 sottolinea come ci sia uno spazio di fiducia lasciato libero dalle Istituzioni e dalla politica, che può essere occupato dalle imprese. Le persone dicono di aver più fiducia nel loro employer che nelle Istituzioni.
Per le imprese, prendersi carico dei problemi di carattere sociale, ambientale, politico, di interesse generale e farli entrate nei propri discorsi è una grande opportunità.
Come farlo? Non certo a suon di marketing-makeup, ma come attori reali che vogliono lasciare una traccia di cambiamento importante, frutto della coniugazione tra interessi personali e collettivi. Anche se così si finirà per non piacere a tutti…
2.Il coraggio del FARE
È finito il tempo dei grandi discorsi che rimangono tali. Dobbiamo mettere a terra i nostri progetti. Se abbiamo una posizione, andiamo oltre il racconto!
Questa è la dimensione fattiva: realizziamo progettualità in maniera agile e in tempi brevi. Magari non sarà tutto perfetto; ma avremo modo di correggerci se ci concediamo l’opportunità di imparare dagli errori. Creiamo momenti di confronto virtuoso, di scambio, di knowledge sharing interni all’organizzazione per capitalizzare successi e insuccessi e permettere anche ad altri di imparare dalle nostre esperienze.
3.Il coraggio di DARE
Parole chiave: apertura e generosità.
Lo si è visto tanto nella spinta alla collaborazione e alla condivisione che è stata centrale con l’avvento del mondo digitale. La conoscenza e l’informazione sono da intendersi come doni che generano quel meccanismo ricorsivo per cui una volta porto io a te, una volta ridarai tu a me. Questo ci fa evolvere in maniera molto più rapida.
Il coraggio del dare è strettamente legato alla fiducia: è anche dare spazio all’altro, mettersi nelle sue mani, ascoltare e sapersi tirare indietro quando serve.
4.Il coraggio di ESSERE NELLA RELAZIONE
Richiede inclusione, curiosità, apertura. Queste sono le caratteristiche dei cosiddetti “talenti ribelli”. Avete presente quei teenager che si oppongono, magari rompono un po’, ma ti costringono a guardare il mondo con uno sguardo diverso? Ecco! Nei team e nelle organizzazioni c’è sempre bisogno di qualche “adolescente”, di qualcuno che pungoli dall’interno.
Essere inclusivi e guardare al diverso vuol dire aumentare la propria creatività e la possibilità di riorganizzare i pensieri in maniera differente, trovando risposte nuove.
5.Il coraggio di DECIDERE
Assumersi dei rischi, prendersi la responsabilità delle scelte in vista del fare “la cosa giusta”.
Spesso le decisioni sono ammalorate dal timore che la propria posizione personale o il proprio ruolo professionale siano a rischio. Si preferisce, quindi, non cambiare e non introdurre innovazioni. Oggi, così, ci si taglia fuori…
Nel mondo organizzativo questo coraggio dovrebbe alimentare una leadership più diffusa e un pensiero più sistemico.
Credo che avranno sempre più successo persone capaci di prendere decisioni per le quali l’interesse personale non è contrapposto a quello collettivo. La pandemia ci ha mostrato chiaramente come i nostri destini siano interdipendenti.
Dobbiamo avere in mente che ciò che facciamo ha ripercussioni sull’intero sistema.
Ci serve un pensiero in cui la “e” sostituisca la “o”.
Non più la “o” delle scelte binarie – o personale o collettivo -, quanto piuttosto la “e” che tiene insieme – personale e collettivo.
Quali sono, se ci sono, gli ingredienti di una comunicazione di coraggio?
>Le parole chiave sono due: consistenza e coerenza.
Tutte le comunicazioni e le azioni che comunicano devono essere fortemente inquadrate in un principio organizzatore solido che le tenga insieme. Devono essere coerenti e consistenti rispetto a quel principio.
Oggi dobbiamo domandarci che parte vogliamo fare in questo momento storico. Chi si concentra solo sullo slogan ha proprio capito malissimo!
Ora possiamo davvero lasciare un segno. Chi ci riesce è consistente, si impegna con azioni ad abbracciare un cambiamento dall’impatto importante. Lo fa se lo può sostenere.
Dobbiamo essere trasparenti, e questo chiama in causa un concetto che a me piace molto, quello di “leadership della vulnerabilità”. Chi ricopre ruoli guida non ha più bisogno di assumere sembianze da superhero, ma, al contrario, ha l’occasione di mostrarsi in quanto persona a tutto tondo, che possiamo sentire vicina perché “umana”.
Il mostrarsi come si è vale anche per l’azienda. Le generazioni più giovani lo danno per scontato, è qualcosa che si aspettano.
Stiamo andando verso una dimensione di leadership collettiva, distribuita: le organizzazioni sono sempre meno verticali e più reticolari, questo significa che le persone dovrebbero sempre più essere empowered, prendere consapevolezza delle proprie capacità e lavorarci, creando un miglioramento per sé e per tutti.
Nessuno si salva da solo! La rotta deve essere comune. Siamo un sistema, dobbiamo trovare il modo di lavorare insieme, ognuno col suo contributo.
Ci sono attivatori di coraggio? Come possiamo, nonostante il periodo di incertezza, andargli incontro, farlo nostro e farci guidare da lui? Che consigli ci puoi dare?
>Partite dalla consapevolezza di quali sono le vostre riserve di coraggio, chiedetevi di cosa siete più dotate e di cosa meno. Non fatevi paralizzare da ciò che vi manca, a discapito di ciò che avete: è da lì che dovete partire per costruire!
Fatevi sempre delle domande un po’ scomode che vi costringano ad uscire dalla zona di comfort e vi tolgano elementi di giustificazione.
C’è una forma di intelligenza che secondo me tutti dovremmo maturare, l’ho chiamata intelligenza fiorente e per me è fatta di 3 elementi: fare bene, stare bene, fare il bene. Questi principi dovrebbero essere la nostra guida.
Fare bene – riguarda le competenze. Non fermatevi in un posto in cui sentite che non state imparando più niente. Questo vale sempre, a qualunque età.
Manutenete, spazzolate e lucidate costantemente le vostre competenze perché la vostra employability vi permetterà di muovervi con agio nel mondo del lavoro. Spingetevi sempre un po’ oltre. Anche se siete soddisfatti di come le cose stanno andando, dedicate una fetta del vostro tempo alla vostra innovazione personale.
Stare bene – va bene la competenza, ma c’è anche il benessere, che passa dalla necessità di generare un equilibrio tra le aree di impegno personale e professionale. Imparate più che potete, ma tenete anche presente che la vita è fatta di tante cose e tutte fanno egualmente parte del vostro bagaglio, sono fonte di crescita.
Fare il bene – per me significa avere sempre in mente anche gli altri.
Che impatto hanno le mie decisioni sulla collettività? È il pensare in maniera sistemica anche sulle questioni che riguardano la propria vita extra lavorativa, le proprie abitudini di consumo.
Se ognuno parte da sé tenendo presenti questi 3 principi, l’intelligenza è fiorente perché fa prosperare persone e territori.
Avere coraggio, per concludere, significa fare delle proprie paure un pungolo verso un futuro desiderabile, guidati dall’intelligenza fiorente che porta a fare bene, stare bene, fare il bene.
In questo momento storico dobbiamo tutti spingerci un po’ più in là: #bebrave 🙂