A cura di Greta Antonini
Ogni generazione ha un nome. Io faccio parte di quella dei millennial che comprende tutte le persone nate, secondo l’Istat e la Pew Research Center, tra il 1981 e il 1996. Tristemente nota per essere la generazione ad aver pagato maggiormente le conseguenze della crisi del 2008 e con il tasso di disoccupazione più alto in Europa negli anni immediatamente successivi.
Ma partiamo dall’inizio.
Siamo nati nel pieno degli anni ‘80 e ‘90 quando si parlava solo di boom economico, posti di lavoro sicuri e di crescita del Pil. Siamo la generazione a cui era stato promesso un futuro roseo, perché nonostante il debito italiano in quel periodo crescesse, l’Italia veniva annoverata tra le potenze industriali mondiali. Erano gli anni dei grandi scandali politici, il più famoso, quello di mani pulite ma sicuramente era un periodo caratterizzato da una grande fiducia nel futuro, da ottimismo e spensieratezza.
Questa fiducia ci è stata trasmessa dai nostri genitori che per anni ci avevano pregato di conseguire una laurea, certi che questa ci avrebbe garantito un futuro migliore, maggiori agi e uno stipendio sicuro.
Con queste premesse terminato il liceo, nel 2007, mi sono iscritta all’Università colma di ottimismo, senso di responsabilità per il sacrificio economico che i miei genitori si stavano assumendo e pronta per guadagnarmi anch’io un posto del mondo, possibilmente di rilievo.
Nel 2008, solo un anno dopo quello splendido inizio, la crisi finanziaria aveva preso il sopravvento con il tracollo della Lehman Brothers e la persistente crisi dei mutui subprime. Una crisi che dagli USA aveva travolto tutti i mercati finanziari e così, i nostri sogni. Da quel momento in poi il futuro che ci eravamo prefigurati si era sgretolato davanti i nostri occhi. Erano gli anni dei contratti a 1.000 euro, degli stage infiniti, della fuga dei cervelli e dell’invio di centinaia di curriculum senza una risposta.
E quella laurea, tanto desiderata, non ti assicurava più un lavoro e se te lo dava era indubbiamente mal pagato. Quegli anni me li ricordo perfettamente perchè sono quelli in cui ho imparato la resilienza e ne ho capito il significato più profondo. Sono gli anni in cui mi sono trasferita a Milano, in cui ho fatto un master e ho abbandonato la mia prima laurea come uno dei tanti fogli nel cassetto. Ve li ricorderete sicuramente anche voi perchè la mia storia, è una storia tra tante.
Ora stiamo vivendo la seconda crisi in solo 12 anni e secondo l’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo e Ipsos saremmo noi, i famosi millennial, più di tutti a pagare. A pagare di nuovo per gli errori fatti da altri.
Linkiesta ci ha definito generazione due crisi per raccontare il grado d’incertezza che ha contraddistinto il nostro futuro. Io vorrei ci chiamassimo generazione resilienza per identificare la nostra capacità di aver affrontato la crisi rimettendoci in gioco, non mollando e sfruttando quel senso di colpa che per anni, chiedendo aiuto ai nostri genitori, abbiamo sentito come un peso.
Secondo uno studio di Manpower proprio da quest’anno rappresentiamo ⅓ dei lavoratori a livello globale. Questa volta abbiamo l’età giusta e le carte in regola per fare parte della fase 2, quella che io identifico con la rinascita.
Il futuro è nostro e per questo non possiamo restare a guardare che lo pianifichino altri per noi, l’hanno già fatto e hanno sbagliato perchè in fondo abbiamo aspettative e modi di vivere diversi. E quindi la vera domanda è:
Che futuro desideriamo per noi e per le generazioni future?
Siamo sicuri che vogliamo tutto com’era prima oppure da questo periodo vogliamo uscirne cambiati e con un mutamento profondo delle nostre abitudini, delle aziende in cui lavoriamo, dei prodotti che desideriamo e delle nostre relazioni interpersonali.
Io dopo questi due mesi ho scoperto che anche a Milano si può respirare: l’aria è diversa, il rumore delle macchine ha lasciato il posto al rumore del vento e al canto degli uccellini. Finalmente.
Voglio anch’io che Milano riparta ma desidero respirare ancora quest’aria, avere più alberi e non sentire più il rumore assordante di prima. Perché lo smart working ove possibile non può continuare oltre l’emergenza? Perché dobbiamo risalire tutti in macchina per andare a fare dei lavori che si possono tranquillamente fare da casa?
Possiamo guardare agli obiettivi di sviluppo sostenibile per il 2030 delle Nazioni Unite come spunto per migliorare l’attuale condizione in cui viviamo tra crisi ripetute e catastrofi ambientali continue. Come sostenuto da Greta Thunberg durante il suo TED nel 2018 è tempo di agire: le soluzioni le conosciamo bene perchè le abbiamo studiate e analizzate per decenni, ora è il momento di cambiare.
Milano a questo ci sta pensando perchè i trasporti pubblici non sono sufficienti per gli oltre 1,4 milioni di persone che si muovano attraverso la metropolitana del capoluogo lombardo. Infatti si sta studiando un piano dove viene incentivata la mobilità sostenibile in sharing, biciclette e monopattini elettrici. Un piano, apprezzato anche dal The Guardian e ovviamente anche dalla sopracitata Greta Thunberg, fondatrice dei Fridays for Future, e raccontato molto bene in un articolo di La repubblica.
Io a Milano la bicicletta la uso da oltre 7 anni con la pioggia e con il sole e assicuro che rivoluziona la vita. Muoversi in autonomia, perchè chi ne ha la possibilità, significa non dipendere da mezzi pubblici, dal traffico e dagli scioperi, inoltre ne guadagna la salute e l’ambiente, cosa davvero non da poco.
Possiamo inoltre pensare a rendere maggiormente inclusive, belle e colorate le nostre periferie e le aree degradate delle città italiane come già avvenuto attraverso la creatività di due giovani talenti olandesi a Rio, a Philadelphia e Haiti e raccontato a TEDGlobal nel 2014. Ci sono tanti studi e progetti nel mondo legati ad un urbanistica della città più inclusiva e che aiuti lo sviluppo di comunità più coese. Ma questi sono solo alcuni dei tanti progetti possibili: ci vuole creatività, immaginazione e conoscenza. Ma con il digitale è tutto sicuramente più vicino e a portata di mano basta studiare, fare benchmarking e guardare oltre come si fa all’interno delle aziende ogni giorno per lanciare un nuovo prodotto.
Per quanto riguarda l’istruzione perché non cogliamo l’opportunità delle scuole chiuse per ripensarle? Magari l’Italia ha più bisogni di asilo nido e scuole materne, mentre la scuola a distanza può essere utilizzata per i licei e le università. Sarebbe bello che le persone non lasciassero tutte le loro terre ma lo facessero per scelta.
Con la digitalizzazione la scuola potrebbe arrivare anche nei luoghi della terra più remoti, potrebbe essere il momento per renderla disponibile a tutti. Ci vuole la banda larga ovunque ma a questo ci sta pensando già Elon Musk, CEO di Tesla, con il progetto Starklink per dare una connessione ad alta velocità ad oltre 3 miliardi di persone.
Oggi è il momento di prenderci la responsabilità del nostro futuro, di quello che desideriamo per noi e per le generazioni che verranno dopo di noi. Non ci resta altro che sognare, immaginare e agire per creare un futuro migliore.
E tu che futuro desideri?