A cura di Veronica Buonocore
“L’istruzione è empowerment: non quello stucchevole e commercializzato, ma un vero strumento di emancipazione. Offre il potere, pericoloso e liberatore, della conoscenza. Qualcosa che meritiamo tutte e tutti”
Con il nuovo anno, ritorna la nostra rubrica “Pillole di Advocacy” e oggi parliamo di un tema che sta molto a cuore a noi Young Women: l’istruzione come strumento di empowerment e riscatto per le donne.
Non è infatti certamente un segreto che a una migliore alfabetizzazione e tasso di istruzione corrispondano un maggior benessere economico e sociale, in grado di agevolare l’indipendenza delle donne e la loro capacità di gestire il denaro, la proprietà e i propri diritti.
Eppure per secoli la storia dell’istruzione è stata segnata dall’esclusione delle donne, ritenute eccessivamente umorali e stupide per natura. La prima università al mondo a consentire l’iscrizione alle studentesse è stata l’Università di Londra nel 1868, benché alle ragazze non fosse conferita una laurea vera e propria come ai colleghi uomini ma un “certificato di conoscenza”. Persino le università più prestigiose e culturalmente avanzate come Yale o Harvard, in attività da secoli, hanno consentito la frequentazione alle donne solamente pochi decenni fa (rispettivamente nel 1969 e nel 1977).
La buona notizia è che i tassi di analfabetismo sono costantemente diminuiti a livello globale nel corso degli ultimi trent’anni ma purtroppo, su un totale di circa 780 milioni persone adulte analfabete nel mondo, due terzi sono donne, concentrate soprattutto nelle aree rurali più povere, dove sopravvivono radicate discriminazioni di genere imposte per legge o consuetudine.
E il nostro viaggio inizierà proprio in una valle al confine fra Pakistan e Afghanistan, dove la libertà delle donne è costantemente sotto attacco, e in cui Malala Yousafzai con candido coraggio ha consapevolmente scelto di mettere in pericolo la sua vita pur di difendere il diritto delle ragazze allo studio.
Ma non fatevi ingannare dalle apparenze: anche nei Paesi che elogiamo come modelli di emancipazione possono celarsi ignoranza e diseguaglianze, come ci dimostra l’incredibile storia di riscatto di Tara Westover, cresciuta in una famiglia di mormoni negli Stati Uniti ignorando ogni cosa del mondo e capace di costruirsi una vita diversa proprio grazie all’istruzione.
Infine, andremo alla scoperta della prima scienziata della storia, Ipazia, voce controcorrente in un’epoca in cui il sapere era ben saldo nelle mani maschili, vera e propria martire per la conoscenza.
I Grandi Classici: Io sono Malala – Malala Yousafzai con Christina Lamb
Il 9 ottobre 2012 la vita di una quindicenne pakistana, Malala Yousafzai, è destinata a cambiare per sempre. Mentre sta tornando da scuola insieme ad alcune compagne, un uomo sale sull’autobus che le stava riaccompagnando a casa e punta il fucile dritto in direzione di Malala, che si salverà per miracolo ma non rivedrà mai più la sua terra.
La nuova vita in Inghilterra, l’istituzione dell’ONG “Malala fund” per promuovere il diritto all’istruzione delle bambine in tutto il mondo, il premio Nobel per la pace nel 2014, la laurea ad Oxford, sono ormai storia e Malala Yousafzai oggi è il simbolo delle donne che combattono per il diritto alla cultura contro la violenza e l’intolleranza.
Ma riavvolgiamo un attimo il nastro: come è possibile che un gruppo di uomini abbia potuto scorgere in una ragazzina una minaccia tale da cercare di toglierle la vita?
Scorrendo tra le pagine di questo libro, in cui Malala Yousafzai narra la sua storia in prima persona, non è difficile capirne il motivo: la lotta della giovane attivista per il diritto all’istruzione femminile nel Pakistan soggiogato dal regime talebano stava suscitando un tale clamore che l’unico modo per impedirle di diffondere le sue idee di eguaglianza era zittirla per sempre.
Come le aveva ripetuto più volte suo padre:
“Non vogliono che le ragazze studino perché hanno paura della penna”.
E Malala sin da bambina prende alla lettera le parole dell’amato papà, facendo della scuola – definita “una magica soglia che portava al nostro mondo speciale” – la sua casa e utilizzando la sua innata abilità retorica per dare voce a chi non ne ha, promuovendo in prima persona in comizi organizzati dal padre l’istruzione come mezzo per accrescere la fiducia in sé stesse ed emanciparsi, e facendone la sua missione di vita.
Nella prima parte del racconto siamo trasportati nei ricordi d’infanzia della giovane attivista, animati dai paesaggi della remota valle pakistana dello Swat al confine con l’Afghanistan, così amata e rimpianta da Malala, nonostante le difficoltà quotidiane, soprattutto per una donna. Infatti, come lei stessa ci racconta, “Per molti pashtun [il gruppo etnico a cui appartiene la famiglia di Malala], quello in cui nasce una femmina è un giorno triste”.
Ma la bambina ha un alleato dalla sua parte: il padre Ziauddin Yousafzai, così diverso dalla maggioranza degli uomini pashtun e profondo sostenitore della necessità per le ragazze di avere accesso all’istruzione. Ziauddin si accorge subito che Malala è una bambina speciale, dotata di un temperamento risoluto e indipendente; non si copre mai il volto e sogna di diventare una politica per migliorare la condizione femminile in Pakistan. Ziauddin non si fa intimorire dalle opinioni della gente e difende strenuamente il diritto della figlia ad essere “libera come un uccello”, trasmettendole un profondo amore per la conoscenza e la consapevolezza di doversi battere contro le ingiustizie e le discriminazioni. La figura del padre di Malala, così innamorato del sapere, fondatore di una scuola mista in una realtà che vede le donne come mere custodi della casa condannate all’analfabetismo, è una delle più commoventi del libro, e sono sicura che anche voi ve ne innamorerete.
E così, tra gli immancabili libri, giochi coi fratelli e gite nei villaggi più remoti trascorre l’infanzia semplice di Malala, fermamente convinta di poter vivere la propria vita in libertà.
Ma le nubi della guerra civile iniziano ad addensarsi sul Pakistan e, quando Malala ha solo dieci anni, il gruppo fondamentalista dei talebani conquista la sua valle, spazzando via ogni briciolo di normalità. Particolarmente toccanti ed amare sono proprio le pagine in cui Malala racconta la vita sotto il regime talebano e la graduale privazione delle libertà. La musica e il cinema sono considerate attività peccaminose, per cui televisori, lettori CD e DVD vengono bruciati in grandi roghi per le strade. Le statue buddhiste e gli stupa, simbolo dell’armonia interreligiosa che caratterizzava la valle dello Swat, vengono rase al suolo, così come tutti i reperti archeologici di epoche passate. I volti delle donne spariscono dalle pubblicità e dai manichini nei negozi, i saloni di bellezza vengono chiusi. Viene proibito alle donne di frequentare i bazar e di uscire di casa, se non in casi strettamente necessari e sempre velate. Vengono istituiti tribunali locali, che comminano punizioni corporali, e una “polizia della moralità”. Ma l’anatema peggiore viene scagliato nei confronti delle scuole frequentate dalle ragazze, in quanto secondo il regime talebano le donne non dovrebbero ricevere un’istruzione. Molti istituti vengono fatti esplodere e il padre di Malala, che continua imperterrito nella sua missione educativa nonostante l’oscurantismo religioso, inizia a ricevere minacce di morte.
Quando l’ex Premier Benazir Bhutto – donna simbolo della democrazia pakistana – viene assassinata durante un comizio il 27 dicembre 2007, Malala ha come un’illuminazione, una voce dentro che le intima di schierarsi ancora più in prima linea per i diritti delle donne del suo Paese, che il dominio talebano vuole annientare. Inizia a rilasciare diverse interviste, anche televisive, partecipa a un’assemblea per i bambini della sua valle organizzata dall’UNICEF, e nel dicembre 2011 le viene addirittura assegnato un premio nazionale per la campagna in favore dei diritti delle ragazze, il Pakistan National Peace Award, che da allora sarà ribattezzato “Malala Prize”. Ogni occasione pubblica è importante per scagliarsi senza mezzi termini contro i talebani che osano privarla “del diritto inalienabile all’istruzione”, ribadendo con fermezza:
“Se un solo uomo può distruggere e rovinare tutto, perché una sola ragazzina non può cambiare le cose?”
Quando al padre viene proposto da un corrispondente radiofonico della BBC di raccontare in un blog la vita sotto i talebani, Malala accetta senza esitazione per far conoscere al mondo la drammatica situazione delle donne pakistane; comincia a temere per la sua sicurezza ma resta sempre fermamente convinta del fatto che nessuno avrebbe osato attaccare una bambina.
Come sappiamo, le cose purtroppo andranno diversamente ma quello che appunto questo libro ci fa scoprire non è tanto la parte della storia già nota, quanto la personalità e le esperienze vissute in Pakistan che hanno contribuito a rendere Malala Yousafzai la coraggiosa e instancabile attivista per il diritto all’istruzione delle bambine che tutto il mondo conosce: un libro semplicemente da non perdere!
Titolo: Io sono Malala
Autrice: Malala Yousafzai con Christina Lamb
Editore: Garzanti
Anno di edizione: 2017
Femminismi Contemporanei: L’Educazione – Tara Westover
“Ho solo sette anni ma so che è questo, più di ogni altra cosa, a rendere diversa la mia famiglia: noi non andiamo a scuola. Il papà ha paura che lo Stato ci costringerà ad andarci, ma è impossibile perché lo Stato non sa di noi”.
Questa è una delle prime scioccanti rivelazioni di cui veniamo a conoscenza leggendo l’autobiografia di Tara Westover, cresciuta insieme ai sette fratelli e sorelle in una famiglia di mormoni conservatori in un paesino delle montagne dell’Idaho. Pur essendo nata negli Stati Uniti, Tara non conosce nulla del mondo che esiste al di fuori della sua vallata, e forse questo è uno degli aspetti più assurdi della sua storia; non sa distinguere tra passato e presente, è cresciuta senza libri – a parte la Bibbia – e senza televisione. Per lei, la globalizzazione non ha mai bussato alla porta di casa, lo Stato è un tiranno, tutto ciò che proviene dall’esterno ed è “diverso” rappresenta il male e sembra veramente impossibile da credere che tutto ciò accada all’interno degli Stati Uniti!
E proprio per questo “L’Educazione” è un libro difficile da digerire, deve essere metabolizzato. Perché racconta episodi distopici e surreali: tutto ciò che per noi è la normalità, non lo è per Tara.
Tara in realtà non esiste neppure.
Non è mai stata registrata all’anagrafe, non è nata in ospedale e non ha mai visto un/una medic*, e soprattutto non è mai andata a scuola, la madre si occupa di insegnarle a leggere e scrivere ma solo per comprendere i testi sacri.
Sin da piccolissima, insieme ai fratelli, raccoglie erbe per la madre ostetrica e guaritrice e aiuta il padre nel suo lavoro in discarica, accumulando scatole di conserve, armi e munizioni. Già, per quanto possa sembrare assurdo, il padre di Tara è convinto che la fine del mondo sia vicina, e fa crescere i figli in uno stato di ansia perenne per l’imminente apocalisse, additando come nemica suprema la scuola, soprattutto per le donne.
Il papà di Tara è una delle figure più inquietanti del racconto, un personaggio carismatico e autoritario ma allo stesso tempo incosciente e folle, capace di trascinare nel suo delirio di superstizione e cieca fede l’intera famiglia compresa la moglie, arrendevole e sottomessa alle credenze del marito, che accetta in silenzio i terribili ricatti psicologici e le violenze fisiche a cui sono sottoposti i figli. Uno dei fratelli di Tara, Shawn, inizia infatti a diventare violento con le sorelle e l’autrice nel racconto riporta senza filtri le odiose angherie subite e il clima di terrore che respirava in casa, senza tuttavia tralasciare l’affetto che comunque continuava a provare per quella sua famiglia strampalata, essendo a lei sconosciuta una realtà diversa.
Finché un giorno Tara, a 17 anni, grazie all’aiuto e all’esempio del fratello Tyler, che abbandona la famiglia per andare al college e a cui è dedicato il libro, fa una scoperta rivoluzionaria: l’educazione.
“Potete chiamare questa presa di coscienza in molti modi. Chiamatela Trasformazione. Metamorfosi. Slealtà. Tradimento. Io la chiamo un’Educazione“
Tara decide così di abbandonare la strada tracciata per lei dal padre e di sostenere l’esame di ammissione al college, che riesce miracolosamente a superare da autodidatta grazie alla sua tenacia, avventurandosi in un percorso di scoperta e conoscenza di tutto il sapere che l’ignoranza in cui era immersa le aveva negato.
Inizia così il suo cammino di emancipazione ma la strada è in salita, sia perché Tara si rende perfettamente conto di non essere all’altezza degli/delle altr* studenti/studentesse, e ne prova profonda vergogna, sia perché la famiglia non accetta la sua scelta. A sua volta, Tara è pervasa dai dubbi: la sua anima è divisa tra l’attaccamento viscerale alle sue radici e il desiderio di vivere una vita diversa. Queste sono tra le pagine più struggenti del racconto, l’educazione porta con sé consapevolezza ma anche dolore: Tara non si sente ancora una ragazza come le altre ma allo stesso tempo non trova più l’incastro perfetto nella sua famiglia, colpevole di averla ingannata e intrappolata per anni.
Tara sarà costretta a recidere i propri legami famigliari per rinascere?
Dovrete arrivare alla fine del libro per scoprirlo!
Un libro avvincente, che ci sconvolge e ci fa toccare con mano il potere rivoluzionario dell’istruzione che, smascherando credenze e paure, offre la prospettiva di vedere con occhi nuovi la propria vita per poterla cambiare.
“Tutti i miei sforzi, tutti i miei anni di studio mi erano serviti ad avere quest’unico privilegio: poter vedere e sperimentare più verità di quelle che mi dava mio padre, e usare queste verità per imparare a pensare con la mia testa. Avevo capito che la capacità di abbracciare più idee, più storie, più punti di vista era un presupposto fondamentale per crescere come persona“
Titolo: L’Educazione
Autrice: Tara Westover
Editore: Feltrinelli
Anno di edizione: 2018
Media Corner: La figura di Ipazia nel mondo dell’arte, cinema e podcast
Nel celebre affresco di Raffaello “La Scuola di Atene”, che raffigura i filosofi e saggi del mondo classico, in basso a sinistra possiamo scorgere una figura femminile: secondo alcune interpretazioni, si tratterebbe della filosofa e matematica Ipazia d’Alessandria, unica matematica donna per più di un millennio e il solo personaggio con cui lo spettatore/la spettatrice può entrare in comunicazione, in quanto volge direttamente lo sguardo verso di lui/lei.
Ma chi era Ipazia e come era riuscita una donna ad acquisire una simile autorevolezza in un’epoca in cui l’istruzione femminile non era neppure contemplata?
Figlia del matematico-astronomo Teone, Ipazia nasce ad Alessandria d’Egitto nella seconda metà del IV secolo. Dotata di grande curiosità e sete di sapere, la giovane Ipazia viene incoraggiata dal padre nello studio della matematica; Teone le assegna anche il compito di controllare i suoi scritti, citandola espressamente come co-autrice degli stessi. Ipazia decide quindi di dedicare la propria vita allo studio, scegliendo in maniera controcorrente di rinunciare al matrimonio, sentendosi già “sposata alla verità”. Ben presto supera il maestro, risultando particolarmente dotata anche per l’astronomia e la filosofia, e assume la direzione della scuola filosofica neoplatonica, una conquista rivoluzionaria in un’epoca nella quale alle donne erano riconosciuti pochissimi diritti, e che purtroppo resterà un unicum per molti secoli, come ci ricorda ironicamente Michela Murgia in un episodio del podcast “Morgana” (di cui abbiamo già parlato sul nostro blog) dedicato proprio alla figura di Ipazia.
I suoi scritti sono andati perduti, ed è difficile ricostruirne il pensiero; sono quindi le testimonianze dei contemporanei, che la stimavano molto nonostante fosse donna, a dare notizia della sua fama, che la ritraggono come una scienziata e filosofa di grande cultura, abile a conversare con gli uomini e attiva partecipe della vita cittadina, consigliera di alcuni notabili e politici. Secondo il filosofo Socrate Scolastico, Ipazia “era giunta a tanta cultura da superare di molto tutti i filosofi del suo tempo […] Per questo motivo accorrevano da lei da ogni parte tutti coloro che desideravano pensare in modo filosofico”.
Si pensa che Ipazia arrivò persino a formulare ipotesi sul movimento della Terra, cercando di superare la teoria tolemaica secondo la quale la Terra era al centro dell’universo. Ipazia viene ricordata anche come inventrice dell’astrolabio, del planisfero e dell’idroscopio, strumento con il quale si può misurare il diverso peso specifico dei liquidi. Oltre a tradurre e divulgare molti classici greci, insegna ai suoi discepoli le conoscenze matematiche, astronomiche e filosofiche all’interno del Museo di Alessandria, che a quel tempo era la più importante istituzione culturale esistente. Tuttavia, la volontà di Ipazia non era solo quella di insegnare ai suoi alunni ma di trasmettere la conoscenza a quante più persone possibili, insegnando la filosofia per le strade e predicando la tolleranza, con un’audacia fuori dal comune e la volontà di difendere la cultura ellenistica, minacciata dall’avvento del cristianesimo.
Alla fine del IV secolo, infatti, i conflitti tra pagani, ebrei e cristiani iniziano ad inasprirsi ad Alessandria, sfociando in episodi di violenza come la distruzione dei templi pagani e di biblioteche, in un clima di ripudio della cultura e della scienza speculativa in nome della religione cristiana.
È evidente come, in un clima di fanatismo religioso, una figura femminile libera come quella di Ipazia inizi a infastidire, dato che la religione cristiana non accettava che la donna potesse avere ruoli importanti nella società, men che meno una posizione come la sua, capace di aprire le menti al sapere e di non inchinarsi a nessun dogma.
E così l’8 marzo del 415 d.c. un gruppo di fanatici religiosi fomentati dal vescovo Cirillo si apposta vicino alla casa di Ipazia, in attesa del suo rientro. Le accuse nei suoi confronti sono di praticare la stregoneria e la morte che le viene riservata è orribile: viene lapidata con dei cocci appuntiti in una chiesa, il corpo smembrato, dissacrato e bruciato per cancellare ogni traccia della sua esistenza e di quello che simbolicamente rappresentava.
Gli assassini restano impuniti e Ipazia scompare dalla storia per secoli, fino a quando con l’Illuminismo il suo nome ricompare come vittima del fanatismo religioso e martire laica della conoscenza. Le prime associazioni di femministe, filosofe e scienziate assumono simbolicamente il suo nome e Ipazia ancora oggi non cessa di ispirare saggi, romanzi e spettacoli teatrali. Nel 2009, il regista spagnolo Alejandro Amenàbar ha realizzato l’interessante film “Agorà”, in cui viene ricostruita in forma romanzata la storia di Ipazia, interpretata da Rachel Weisz.
Ancora oggi, a distanza di secoli dalla sua uccisione, Ipazia resta il simbolo della libertà di pensiero e dell’indipendenza della donna, al punto che proprio a lei è stato dedicato il Centro Internazionale Donne e Scienza dell’UNESCO a Torino, che sostiene lo studio, la ricerca e la formazione delle scienziate del Mediterraneo e dei Balcani.
Fonti:
“L’Atlante delle Donne”, Joni Seager, 2020, Add Editore
“Donne Difficili: Storia del Femminismo in 11 Battaglie”, 2021, Helen Lewis, Blackie Edizioni