Scritto da Ilaria Scarpiello
La scuola ha il ruolo di educare, oggi più che mai.
Siamo a giugno e sta per concludersi un altro anno scolastico, un anno sicuramente non convenzionale.
Tre mesi fa gli studenti italiani non immaginavano certo che quelli sarebbero stati gli ultimi giorni dell’anno scolastico passati tra i banchi, per poi approcciarsi ad un nuovo modello educativo.
La pandemia in corso ha riportato l’attenzione dell’opinione pubblica sulla scuola, sulla formazione e sulle competenze.
E la “nuova via” della didattica a distanza, ha accentuato alcune delle disuguaglianze già presenti.
Ad aprile l’Istat ha pubblicato un rapporto secondo il quale “ il 33,8% delle famiglie non ha un computer o un tablet a casa, e la quota scende al 14,3% tra le famiglie con almeno un minore”.
L’articolo 3 della nostra Costituzione inizia così:
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali […]
Un articolo che si scontra con i dati emersi in questi mesi. Si capisce quanto sia necessario e doveroso riportare al centro del nostro sistema l’educazione.
E c’è di più: a queste disparità sociali si aggiunge divario di genere.
Le donne italiane studiano più degli uomini, ottengono risultati migliori, ma solo il 33% è iscritto a corsi di laurea dell’area scientifica.
I rapporti Education at a glance evidenziano come sia ancora bassa la percentuale di donne sul totale dei laureati nelle tecnologie dell’informazione e in ingegneria. Essendo queste le discipline più richieste oggi nel mercato del lavoro, questo genera disparità nei percorsi di carriera successivi.
Il cervello ha un sesso?
Le teorie su quanto i cervelli maschili e femminili siano strutturalmente e funzionalmente diversi sono diffusissime. E in passato questo è servito solo a perpetuare la visione patriarcale della società.
Oggi la maggior parte delle ricerche ritiene che anche se ci sono chiare differenze strutturali cerebrali tra i maschi e le femmine, un importante ruolo è svolto dal nurture, cioè dalle esperienze a cui siamo sottoposti e dall’ambiente e dalla società nella quale si vive.
The brain is no more gendered than the liver or kidneys or heart
Fonte: Neurosexism: the myth that men and women have different brains
Durante l’infanzia e l’adolescenza, che corrispondono al periodo scolastico, la plasticità cerebrale è massima ed è proprio in questa fase che il nurturing effect svolge un ruolo preponderante.
Alcuni test che prendono come riferimento lo stereotipo per cui i maschi sono più bravi delle femmine nel ragionamento spaziale, hanno portato alla luce il fatto che chiedendo alle bambine di eseguire compiti con questo tipo di ragionamento e sottolineando quanto il loro amici maschi siano migliori di loro, le prestazioni sono più carenti rispetto ad altre bambine che svolgono il compito senza sentirsi ripetere che difficilmente saranno al livello dei maschi. (Fonte: The Vision)
Fatte queste premesse, la scuola può fare la differenza. Non limitandosi ad essere il luogo in cui i contenuti sono trasmessi da una testa ad un’altra, ma costruendo un luogo di educazione.
La scuola ha il ruolo di educare e impegnarsi per favorire una cultura del femminile e del maschile capace di valorizzare le differenze senza che si trasformino in prevaricazioni e diseguaglianze. Ma come?
A scuola di parità
In alcuni Paesi europei, come Svezia e Danimarca, i temi connessi alla parità di genere sono stati inseriti nei programmi scolastici ministeriali. Riconoscendo alla scuola il luogo primario in cui si forma l’identità e la personalità di un individuo.
In Italia alcuni asili utilizzano elementi del metodo Montessori che possono essere positivi in un’ottica di parità di genere. Ad esempio tra le occupazioni proposte a tutti i bambini sono presenti attività come spazzare per terra, pulire i vetri o i tavoli della classe, che aiutano non solo a “non segmentare” le attività ma sono anche funzionali a sviluppare manualità e ordine.
L’alleanza tra scuola e famiglie
Alcune scuole di Seregno, Monza Brianza, sono state coinvolte dalle istituzioni locali nel progetto “Pari lo impari a scuola” che ha previsto incontri tra docenti e genitori con un esperto in pedagogia di genere, e il coinvolgimento in alcune attività pratiche di alunne e alunni sempre sotto la supervisione di un esperto.
Attraverso le attività pratiche si è chiesto ai piccoli studenti di riflettere su sé stessi, sulla propria identità di genere e sulle proprie aspirazioni, sulla divisione dei compiti di cura e domestici in famiglia e sulle professioni considerate da donna e professioni considerate da uomo.
Nella pratica veniva chiesto di:
- Identificare i colori preferiti e il perché.
- Illustrare lo sport preferito.
- Identificare il lavoro che avrebbero voluto fare da grandi e disegnarlo.
I risultati di questo progetto hanno portato gli insegnanti a conoscere meglio i propri studenti e ad arricchire il profilo professionale. Gli studenti invece hanno messo le basi per un percorso di conoscenza di sé che li accompagnerà, e li porterà a scegliere percorsi più a loro adeguati.
Scuola e famiglia sono i primi luoghi in cui vengono attivati i percorsi di formazione all’identità.
In particolare la scuola ha il ruolo di educare alla conoscenza di sé al rispetto dell’altro.
Rompere gli schemi
L’istituto Comprensivo Duca d’Aosta, di Santo Stefano Ticino, ha portato avanti un progetto con l’associazione “Mirta e le amiche del tombolo” che ha visto entrare in classe ferri e attrezzi per uncinetto e ricamo.
In un primo momento i ragazzi sono sembrati diffidenti davanti a un’attività che veniva vista come “una cosa da femmine”. La spiegazione sull’importanza del saper fare, e la narrativa sulla storia antica della tessitura, che in passato vedeva soprattutto gli uomini come custodi di questa arte, hanno rappresentato il punto di svolta.
Il secondo anno di progetto è andato molto bene e i ragazzi si sono dimostrati entusiasti e si sono dedicati ai lavori all’uncinetto.
“Temevamo, soprattutto da parte dei maschi, scherno e mancanza d’interesse in quanto i lavori proposti sono considerati nell’opinione comune attività prettamente femminili, ma i ragazzi si sono dimostrati liberi da pregiudizi ed hanno subito compreso le motivazioni per cui avevamo deciso di non escluderli da questa iniziativa.”
Queste sono le parole delle associate a testimonianza di quanto la capacità di uscire dagli schemi stereotipati dipenda dalla capacità di liberarsi dalle idee precostituite e dominanti.
Ed è proprio a scuola che si costruisce il futuro!
C’è ancora molto lavoro da fare per includere la prospettiva di genere all’interno dell’attività didattica quotidiana. In quest’ottica il lavoro che si fa scuola è quanto mai attuale e significativo. Un’altra importante consapevolezza riguarda inoltre il saper veicolare modelli e ruoli di genere attenti a non limitare competenze e desideri di ciascuna personalità in crescita.