Si è stimato che, col passare degli anni, il tempo necessario ad ottenere la parità di opportunità tra donne e uomini nello sviluppo economico, andrà dilatandosi sempre più. Le ultime ricerche dimostrano, infatti, che le donne dovranno attendere almeno altri 286 anni perché il divario di genere esistente a livello globale possa dirsi pienamente colmato.
Questo il dato fornito dall’ UN Women (l’agenzia dell’Onu dedicata alle tematiche di genere) in occasione del Davos 2023, l’incontro annuale del World Economic Forum.
Secondo il Global Gender Gap Index 2022, curato dallo stesso, l’Italia risulta molto lontana dal raggiungimento degli obiettivi in materia, posizionandosi ultima tra i Paesi europei (con un punteggio di 0.72) e al 63° posto a livello mondiale su un totale di 146.
Numerosi gli indicatori monitorati a livello aziendale per assicurare la riduzione del divario di genere. L’analisi spazia tra sei differenti aree: cultura e strategia, governance, processi HR, opportunità di crescita e inclusione delle donne in azienda, equità remunerativa per genere, tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro.
Secondo fonti ISTAT, nel 2022, su 101 mila nuovi disoccupati 99 mila sono donne, il che ribadisce l’evidente disparità di opportunità nel mondo del lavoro italiano tra uomini e donne. In un contesto come quello attuale, ove la tecnologia digitale la fa da padrone, ci si confronta anche con un nuovo tipo di povertà, che esclude le donne e le ragazze in modi devastanti: la povertà educativa digitale.
Che cos’è il digital divide?
Con ciò si allude all’esistenza di limitazioni all’accesso ad opportunità di apprendimento e sviluppo attraverso l’impiego di strumenti digitali in modo responsabile, critico e creativo.
I dati raccolti devono aprirci gli occhi e farci riflettere su quella che appare essere una situazione dai contorni davvero preoccupanti.
La forbice delle disuguaglianze è più ampia laddove le donne e le ragazze sono spesso più vulnerabili.
Il gap nell’accesso agli strumenti e alle opportunità digitali colpisce principalmente donne e ragazze con basso livello di alfabetizzazione o basso reddito, coloro che vivono in aree rurali o remote, migranti, donne con disabilità e donne anziane.
Gravi, ovviamente, le ripercussioni sull’economia globale poiché ciò influenza profondamente la capacità di autodeterminazione femminile, la possibilità per le donne di possedere il proprio conto in banca, prendere decisioni informate sul proprio corpo o ottenere un impiego produttivo.
A che punto siamo?
Dati alla mano, solo lo scorso anno la percentuale di presenza online degli uomini si è attestata su ben 259 milioni in più rispetto alle donne.
Secondo la stima fornita da Audiweb (società che si occupa della raccolta ed elaborazione dei dati di audience di internet in Italia) osservando i dati della fruizione di internet da parte dei vari segmenti della popolazione tra i 18 e i 74 anni, risulta che, nel giorno medio, erano online l’84,4% degli uomini e l’80,9% delle donne.
A ciò segue la minor probabilità per le donne (circa il 18% in meno rispetto agli uomini) di possedere uno smartphone e di accedere o utilizzare la rete Internet.
Inoltre, nonostante le ragazze eguaglino le prestazioni dei ragazzi nelle materie scientifiche e tecnologiche in molti Paesi, solo il 28% dei/delle laureat* in ingegneria e il 22% dei/delle lavoratori/lavoratrici nel campo dell’intelligenza artificiale a livello globale sono donne.
Se consideriamo, poi, il livello di occupazione nel settore tecnologico a livello globale, non solo la rappresentanza femminile risulta inferiore ma le donne devono anche affrontare un gap retributivo di genere del 21%.
La preoccupazione che desta questo fenomeno è allarmante poiché l’Intelligenza Artificiale ha stravolto le regole della conoscenza e vista la sua “non neutralità” potrebbe rappresentare un ulteriore veicolo di diffusione e di consolidamento di bias culturali di genere.
Il principale problema, evidenziato a più riprese, attiene proprio al rischio che pregiudizi inconsci o consci vengano incorporati nelle nuove tecnologie e diffusi nel campo dell’intelligenza artificiale.
Per far sì che ciò non accada è necessario includere le donne tra i/le creatori/creatrici di tecnologia e intelligenza artificiale, attribuendo loro un ruolo centrale nella progettazione, in modo che i prodotti digitali riflettano anche le priorità delle donne e delle ragazze.
In occasione dell’apertura della 67esima sessione della Commission on the Status of Women (CSW), Sima Sami Bahous (Direttrice esecutiva di UN Women) ha riportato l’attenzione sul tema.
Promuovere la piena partecipazione e la leadership delle donne e delle ragazze nel campo della scienza e della tecnologia è uno degli obiettivi su cui si è focalizzata la suddetta Commissione, unitamente alla necessità di aumentare il livello di istruzione, reddito e occupazione e creare un ambiente digitale più sicuro.
Non può negarsi che l’innovazione tecnologica viaggi su due binari diversi poiché, se da un lato si è assistito ad un miglioramento delle telecomunicazioni attraverso l’utilizzo di nuovi standard come il 5G ed alla nascita di nuovi driver dello sviluppo, applicabili anche in contesti produttivi ed industriali, come l’internet delle cose, la blockchain e le nuove forme di automatizzazione dei processi, la rivoluzione digitale ha anche fortemente aggravato le disuguaglianze di genere.
Per non parlare delle minacce alla sicurezza e al benessere delle ragazze derivanti da un abuso degli strumenti tecnologici. La discriminazione si diffonde anche e soprattutto attraverso la rete, continuando a trovare nuovi modi per negare alle donne i propri diritti.
A tal proposito, per garantire la trasparenza e la responsabilità della tecnologia digitale, le Nazioni Unite stanno lavorando per promuovere un codice di condotta per l’integrità delle informazioni sulle piattaforme digitali, incrementando gli investimenti necessari per garantire che gli spazi online siano privi di violenza e abusi, con meccanismi e chiare responsabilità per affrontare tutte le forme di molestia, discriminazione e incitamento all’odio. Non è una novità che i canali social siano utilizzati da gruppi radicali e da alcuni governi per prendere di mira le donne, prestando il fianco ad una nuova forma di repressione ed oppressione digitale. Si pensi alle attiviste iraniane che continuano ad essere vessate a causa della loro partecipazione a campagne online ed alle molte donne afghane costrette dai talebani a fuggire dal loro paese.
Inoltre, un sondaggio tra giornaliste donne di 125 Paesi, ha rilevato che tre quarti avevano subito violenze online nel corso del loro lavoro e un terzo si era autocensurato in risposta.
Nonostante i numerosi gap da colmare, non possiamo, però, non considerare l’importante ruolo che la tecnologia gioca al servizio delle donne.
Molti, ad oggi, gli impieghi strategici di strumenti innovativi a supporto delle vittime di violenza.
Nonostante il grande pericolo per l’uguaglianza di genere dovuto al radicarsi della misoginia “nelle Silicon Valley di questo mondo”, come affermato da António Guterres (Segretario Generale dell’ONU), forte è l’impegno profuso per garantire un sostegno continuo alla ricerca ed all’innovazione nelle tecnologie digitali per la salute e la sicurezza delle donne.
Tra queste, le app “salvavita” costituiscono un primo immediato canale per mettersi in rapido contatto con la polizia, offrendo gratuitamente una mappatura completa dei servizi di supporto sul territorio nazionale e contenendo informazioni e consigli su come valutare i rischi e documentare la violenza.
Si pensi, ad esempio, ai chatbot accessibili tramite i siti web di numerosi centri antiviolenza che, in maniera anonima e senza lasciare traccia, sono programmati per fornire risposte pre-inserite e immediate a chiunque chieda aiuto o abbia bisogno di informazioni.
Sebbene, pertanto, la tecnologia giunga in soccorso delle donne aiutando a prevenire fenomeni di violenza, la percentuale di donne che ha accesso ai device si attesta ancora su livelli piuttosto bassi.
Il “digital divide”, infatti, limita l’accesso delle donne alle informazioni salvavita, così come ai prodotti di denaro mobile o ai servizi pubblici online.
Il passaggio dal “Digital Divide all’Inclusione Digitale” è stato inserito tra gli obiettivi di sviluppo sostenibile previsti dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite ma chiunque può, nel suo piccolo, avvalendosi di strumenti tecnologici, rendere il proprio contributo in favore di quelle donne che, a causa della povertà o dell’ubicazione geografica, non riescono ad accedervi.
Questo lo spirito che ha animato Janet Chapman, fondatrice di “CrowdMap Tanzania“, nella scelta di utilizzare una piattaforma gratuita ed open source per avviare un progetto di mappatura collettiva al fine di aiutare i/le volontari/volontarie a rilevare la posizione dei villaggi della Tanzania rurale e sottrarre le giovani donne alle disumane pratiche di infibulazione genitale, diffuse soprattutto nelle regioni occidentali, orientali e nordorientali dell’Africa, in alcuni paesi dell’Asia e in Oriente.
Ragionando sui motivi che l’hanno spinta a creare una rete globale di soccorso che operi a favore delle giovani donne che popolano le zone rurali dell’Africa orientale, Janet Chapman ha affermato che:
“the idea came about when I was visiting projects for Tanzania Development Trust in rural areas and realised that the fact they were poorly mapped was a big problem for navigation to them, but also for the work of FGM activists…”
La Tanzania rurale, quella lontana dalla capitale Dodoma e dalle zone turistiche, è mappata malissimo, e ciò rappresenta un ostacolo per i/le soccorritori/soccorritrici che non sempre riescono ad arrivare in tempo per porre in salvo le vittime, proprio a causa della difficoltà nel raggiungere i villaggi.
Nonostante questa pratica sia vietata per legge anche in Tanzania, molte tribù hanno continuato a praticarla perché considerano l’operazione un necessario rito di passaggio prima del matrimonio.
Ad oggi, nonostante l’esatto numero di giovani donne che convivono con una mutilazione genitale sia ignota, secondo una stima condotta dall’ONU ammonterebbero, nel mondo, a più di 200 milioni.
L’apporto dei/delle volontari/volontarie è fondamentale per contribuire al lavoro umanitario e di sviluppo della regione in modo che le organizzazioni non governative (ONG) locali e internazionali possano utilizzare queste mappe ed i dati raccolti per sottrarre le ragazze ad un atto estremamente traumatico ed in grado di determinare gravi conseguenze per la loro salute fisica, psichica e sessuale.
Molt* di noi, soprattutto durante i lockdown imposti dall’ emergenza dovuta al Covid-19, pur non avendo la possibilità di muoversi, hanno avuto tempo da mettere a disposizione per il bene comune ed è proprio in questa occasione che in prima persona ho scoperto CrowdMap Tanzania. Questo, come tanti altri progetti, rientra nei programmi di volontariato online delle Nazioni Unite ai quali è possibile contribuire da remoto, da qualsiasi parte del mondo: basta disporre di un device che abbia accesso alla rete Internet, armarsi di precisione e voglia di fare per mettere a disposizione le proprie capacità, gratuitamente e per una causa sociale.
La tecnologia come strumento di inclusione
Come dimostrato dalle più recenti applicazioni innovative in campo tecnologico a salvaguardia della vita delle donne, la tecnologia e l’innovazione costituiscono comprovati acceleratori per guidare progressi concreti verso obiettivi di sviluppo sostenibili.
È ormai acclarato, quindi, che la realizzazione di suddetti obiettivi sia intrinsecamente connessa alla capacità del mondo di sfruttare la tecnologia e l’innovazione.
Alla luce di quanto emerso durante l’ultima riunione della Commission on the Status of Women, senza l’ausilio di strumenti tecnologici non sarebbe stato possibile digitalizzare la raccolta dei dati nelle valutazioni rapide di genere, in paesi come il Niger e Haiti, o consentire alle autorità nazionali ucraine ed alle organizzazioni della società civile di strutturare soluzioni digitali per sostenere gli aiuti di genere, la ripresa economica e ridurre il digital divide.
La carenza evidenziata è duplice poiché, se da un lato non può dirsi ancora raggiunta una piena e consapevole valorizzazione della tecnologia come facilitatrice per il progresso, dall’altro si è riscontrata l’assenza di un adeguato coinvolgimento delle donne nella materia di studio.
Per colmare il divario è necessario, pertanto, adottare una soluzione conciliativa, poiché solo così si potrà incentivare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e trasformare quelli che, spesso usati quali strumenti di oppressione, si sono poi rivelati imprescindibili catalizzatori di obiettivi di sviluppo sostenibile.
Si pensi ad esempio ai social media che, spesso noti alle cronache per aver agevolato la diffusione di forme di repressione ed oppressione digitale, hanno consentito di salvare la vita di molte donne che cercavano disperatamente aiuto per sottrarsi ad episodi di violenza domestica soprattutto durante i lockdown dovuti al COVID-19.
Per non parlare poi dell’importante ruolo di connettore cruciale per il movimento delle donne all’interno e tra i paesi svolto dai social media in occasione dei tragici terremoti che hanno colpito Turchia e Siria, consentendo di generare “heat maps” per focalizzare risposte ai disastri ambientali.
Quindi, sebbene uno strumento nato per connettere ed innovare stia, in taluni casi, aggravando la violenza, favorendo il divulgarsi di comportamenti online volti a danneggiare, mettere a tacere o screditare ed aumentando la discriminazione, non tutto è perduto.
A tal fine è importante coinvolgere sia gli uomini e i ragazzi, per promuovere un comportamento online etico e responsabile, che le istituzioni pubbliche per assicurare ad ogni membro della società pari accesso alle competenze e ai servizi digitali.
La realizzazione della visione della Carta delle Nazioni Unite di costituire una società in cui ogni persona possa vivere una vita libera e dignitosa passa anche attraverso la possibilità di utilizzare la tecnologia in modo consapevole e strategico per salvare e migliorare vite umane.
Fonti:
- https://greenreport.it/news/clima/il-digital-divide-e-l8-marzo-i-diritti-digitali-sono-diritti-delle-donne-video/
- https://www.linkiesta.it/2021/11/tecnologia-donne-emancipazione/
- https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2023/04/13/parita-genere-dati-ai/
- https://www.agendadigitale.eu/infrastrutture/il-digital-divide-culturale-e-una-nuova-discriminazione-sociale/
- https://www.agi.it/blog-italia/mappe/tanzania_mutilazioni_genitali-2086477/post/2017-08-24/
- https://data.unicef.org/topic/child-protection/female-genital-mutilation/
- https://crowd2map.org/