Panel e Rose. Non ci sono più scuse per i “manel” (i panel al maschile)

Sarà capitato a tutte noi di ritrovarci tra il pubblico di un panel tutto al maschile, più di una volta. 

Personalmente, mi si forma una matassa dolorosa all’altezza dell’addome e mi si accendono infinite lampadine: “Sono l’unica a pensare che tra quelle sei persone certamente una donna, o più, avrebbe potuto contribuire con un punto di vista interessante e diverso?”. “L’organizzatore è per forza uomo, non può essere che su dieci interventi, uno solo sia al femminile”. “Possibile che non ci siano state donne all’altezza di questo dibattito? Ovviamente non è possibile”. “Saranno state almeno contattate delle donne e nessuna di loro ha confermato la presenza?”. E via così. 

 

Alla ricerca di soluzioni

Poi mi capita tra le mani l’editoriale di Dario Di Vico – inviato del Corriere della Sera e tra gli ideatori del blog La nuvola del lavoro – su Sette lo scorso 8 novembre. Titolo: #tuttimaschi ai convegni? Così sono «manel», non panel: qualche idea per cambiareSottotitolo: “In troppi convegni e festival i relatori sono solo uomini. Da qui il neologismo «manel» al posto di «panel». Ma i punti di vista femminili arricchiscono l’eventoIncipit: “Premetto che tutto farò in questo articolo tranne scagliare la fatidica prima pietra. Nel mio piccolo anch’io come organizzatore di eventi e direttore di festival ho finito per comporre dei «manel», ovvero dei panel di discussione formati da soli uomini. Quindi mi muoverò alla ricerca di soluzioni.

Gli applausi vanno a uno dei commentatori più autorevoli che abbiamo in Italia oggi, Dario Di Vico, che propone un contributo al dibattito per cambiare le cose, perché così come sono non funzionano. “Soluzioni” è la parola chiave. E le soluzioni arrivano, da donne e uomini, che gli scrivono e s’interfacciano con lui. Per estendere il dibattito, Dario Di Vico rilancia su Twitter l’articolo di Sette, invitando al dibattito otto persone: sette donne – Silvia Zanella, Paola Bonomo, Anna Zavaritt, Francesca Panzarin, Francesca Rizzi, Rita Querzé e la sottoscritta; e un uomo – Marco Simoni.  Sentitami tirata in causa, ho contribuito in minima parte al dibattito nell’immediato, con un Tweet, ma non basta. Estendo pertanto qui e ora quella conversazione cominciata l’8 novembre scorso e continueremo (uso il plurale, perché qui siamo un “noi”) a portarla avanti, dentro e fuori la rete. 

 

I protagonisti del dibattito

Partiamo da Marco Simoni, presidente di Human Technopole – il nuovo istituto italiano di ricerca per le Scienze della Vita, nato con la missione di migliorare la qualità della vita attraverso un approccio interdisciplinare alla salute e all’invecchiamento –, il quale di recente ha aperto una polemica su un convegno politico-economico; così scrive: “Questi eventi di tutti maschi tradiscono il modo in cui sono pensati e organizzati senza tener conto della reale presenza delle donne nel mondo delle competenze. In centri di innovazione come quello che dirigo ormai sono loro la maggioranza, è la rappresentazione pubblica a restare asimmetrica. Non si tratta quindi di regalare qualcosa alle donne, ma di essere coerenti con la reale fotografia delle competenze”. E aggiunge che i manel potrebbero essere oggetto di denuncia all’Antitrust “per distorsione della libera concorrenza”In occasione del dibattito aperto da Dario Di Vico, Marco Simoni scrive Dobbiamo fare un club di maschi contro i #manel @dariodivico presidente, io prendo la tessera 001 chi si iscrive? #menaganistmanel”

Silvia Zanella, esperta di lavoro del futuro, HR ed employer branding, rilancia: “Chi rinuncia alle donne nel dibattito pubblico (ma anche in azienda) rinuncia all’innovazione dei contenuti. Perché ospitare il punto di vista femminile non è solo aggiungere, ma arricchire l’evento in termini di una differente visione”. Silvia Zanella estende la conversazione pochi giorni dopo sul proprio blog. Da leggere! Di Silvia Zanella sta per uscire un libro, credo il suo quinto: Il lavoro è femmina, che non vedo l’ora di leggere! Da ascoltare anche il suo TEDx sul tema del lavoro del futuro, che è femmina perché sarà sempre più necessaria un’ottica di valore e meno di autoriferimento, più di ecosistema e di condivisione, meno di forza; saranno sempre più femminili la gestione del tempo e dello spazio, nella forma del lavoro agile, le competenze e la capacità di ascolto, di empatia, di mettersi nei panni degli altri, le relazioni, il modo di cercare lavoro, sempre più “sociale” e sempre meno in forma esibizionistica. E rimarca Silvia Zanella: “femminile”, non significa “ad appannaggio delle sole donne”. 

E poi c’è Paola Bonomo, consigliera indipendente e business angel (ammirazione totale), che contribuisce così alla conversazione: “Gli eventi maggiormente elitari hanno l’abitudine di essere power-driven, guardano al titolo dello speaker, Ceo o ministro che sia. E non ideas-driven, ovvero che privilegino chi ha qualcosa di veramente nuovo da dire. Ma detto questo gli uomini che accettano un invito anche sapendo che non ci sono donne nel panel sbagliano, sarebbe bene che si informassero e chiedessero modifiche”. E qui arriva il punto cruciale da mio punto di vista: la disuguaglianza dell’opinionismo è innanzitutto irrispettosa delle giovani donne, continua Paola Bonomo, perché se una studiosa o ricercatrice o manager assiste a una conferenza di soli uomini facilmente si convincerà che in quella disciplina per lei non c’è posto: “Non è un bell’esempio”.

Anna Zavaritt, responsabile comunicazione e public affairs di Valore D, aggiunge: “Dove non c’è diversità non c’è libertà! Bella la provocazione di @dariodivico oggi su @7Corriere: i manel panel tutti al maschile, dove non c’è più dialogo ma monologhi. Con Dario e @ValoreD ai Festival @citta_impresa proviamo a diversificare e arricchire i punti di vista”

Ricordate come nasce l’hashtag #tuttimaschi? Da Michela Murgia, con i suoi cerchiolini sulle prime pagine dei giornali in Italia. In blu cerchiava i nomi dei giornalisti uomini, in rosso le firme femminili? Inutile ricordare quanto prevalesse il blu (Il Fatto Quotidiano)… non banale la ripercussione che questo ha sul numero di commentatrici ospiti nei panel… e il cerchio si chiude (e noi lo riapriamo).

 

Altre idee per contrastare i manel 

Al dibattito proposto da Dario Di Vico ho contribuito con questo Tweet: “Aggiungo: facciamoci avanti, non aspettiamo di essere chiamate; non basta abbattere le barriere di genere, bensì anche di età e personalità: valgono competenze, idee e capacità d’ascolto”. Lo spazio è poco, ma il concetto per me è questo: facciamoci avanti, perché ce lo meritiamo, non aspettiamo di essere chiamate. Non basta però far notare il gap di genere, perché i gap sono tantissimi in tutti i panel cui mi capita di assistere: c’è un enorme problema di età, per esempio. Vero è che il meno giovane ha più anni di esperienza (non sempre), quindi anche (non sempre) un punto di vista più consolidato, perché basato su un numero maggiore di “casi” che lo rendono o la rendono il professionista o la professionista che è; ma allo stesso tempo, ascoltare più generazioni su uno stesso argomento non può che fare bene alla nascita di idee e soluzioni innovative. Inoltre c’è un grosso problema di gap in termini di personalità: invito solo chi è un bravo speaker; i timidi in questo modo hanno zero voce in capitolo (alzo la mano), perché meno incisivi, meno d’impatto… ma abbiamo mai pensato al mondo interiore delle persone più introverse? Quanto ascoltiamo, quanto analizziamo, quanto osserviamo, quanta empatia, quanta capacità di ascolto…  quindi capacità di mettere insieme idee differenti, portare sintesi e valore? 

Credo infine che il problema dei panel al maschile sia parte di un mondo più tradizionale e istituzionale (che rimane quello prevalente e maggiormente influente), contro un nuovo mondo, quello delle generazioni più giovani – basti partecipare a un qualche evento di start up, dove le ragazze e le giovani donne ci sono eccome, perché davvero non importa il genere: importa l’idea. 

Il punto di vista, la riflessione, l’analisi, l’esperienza, la competenza, la professionalità, l’idea… sono tutti motivi per scegliere uno speaker piuttosto che un altro… dato che sul pianeta Terra il numero delle donne supera quello degli uomini, non si tratta certo di una questione numerica. Trattasi allora di scarsa capacità di analisi delle donne, poche esperienza e competenza, scarsa professionalità, assenza di idee…? Ovviamente no. Trattasi di posizioni di potere? Questo sì, influenza: se in un panel di CEO prevalgono gli uomini e se sulle prime pagine dei giornali scrivono più gli uomini, be’, trattasi dello specchio della società italiana, nulla di più. Allora lavoriamo (YWN lo fa ogni giorno) per cambiare la realtà, quindi la cultura, ancora dilagante, perché intrisa di preconcetti che solo noi giovani donne possiamo abbattere

 

Tre soluzioni pratiche per tutte noi

Eccole intanto tre soluzioni facili per l’immediato: far notare, farsi avanti, far pensare. 

  1. Far notare che c’è un problema ogni qualvolta capiti di avere di fronte dei “manel”. Come? Facendo una domanda diretta in pubblico o intercettando gli organizzatori. La stessa cosa vale per i #womanel… La domanda può arrivare da un uomo o da una donna. Lo stesso possono fare i panelist: se notano qualcosa che non va, possono alzare la mano e far notare la cosa, chiedere di rivedere la composizione del panel, per arricchirlo, “perché io a un panel di soli uomini non prendo parte, grazie”. 
  2. Farsi avanti, chiedere di essere ospiti di un dato panel. Questo vale per noi donne, soprattutto giovani: mostrarsi interessate a partecipare a tal evento perché è la cosa più naturale esserci, perché conosciamo quella materia da cima a fondo e abbiamo tante idee da condividere… non aspettiamo di essere chiamate, facciamoci avanti e contattiamo noi gli organizzatori. 
  3. Far pensare, una volta parte del panel: avere la capacità di ascoltare e poi di far riflettere e creare nuovo dibattito intorno a quel determinato tema che conosci così bene è valore puro. Facciamo percepire l’importanza del punto di vista di tutti, per abbattere l’abitudine a “parlarsi addosso”, proporre monologhi e zero scambio d’opinioni. Cambiare idea? Si può fare, se è il risultato di un dibattito ben riuscito. 

E parallelamente lavoriamo su tutto il resto: le generazioni, le personalità, le origini, le disabilità, eccetera, perché solo così un panel è un panel, che altro non è che scambio di idee. 

 

L’operaia deve avere il pane, ma deve avere anche le rose. Date una mano anche voi, donne del privilegio, a darle la scheda elettorale con cui combattere”, 1912, Rose Schneiderman. Mi sono ispirata a lei per il titolo dell’articolo. 

 

Scritto da Natasha Aleksandrov

 

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