Di modi per passare il tempo, ora che purtroppo siamo tutti reclusi in casa, ce ne sono tantissimi: dal leggere tutti i libri che abbiamo comprato e poi accantonato in un angolo, all’impastare pane, pizza e dolci di tutti i tipi; dal dedicarsi al binge watching delle ultime serie uscite, al consumare le ore davanti a vecchi e nuovi videogames.
Io, per esempio, ho deciso di prendere in mano un classico dei videogiochi anni ’90, cioè la saga di Monkey Island, e ricominciarla da capo, non avendo mai giocato ai primi due episodi dell’avventura del pirata in erba Guybrush Threepwood.
Sono sicura di non essere l’unica ragazza che ha deciso di occupare parecchio tempo durante la quarantena davanti al pc (o a qualunque altra console) a giocare, eppure allo stesso tempo mi sento, comunque, un po’ una mosca bianca. Questo perché c’è lo stereotipo secondo cui le donne non giocano ai videogames e si sa che gli stereotipi, a volte, entrano in testa e non vanno più via.
Dalla “damsel in distress” alla combattente agguerrita
Come mai abbiamo questa idea? Per tanti anni i videogiochi sono stati passatempo quasi esclusivo degli uomini e ancora oggi li si vede come tali. Le donne, se presenti nei videogames, hanno spesso un ruolo molto marginale nella trama: o sono “damigelle in pericolo” (come la principessa Peach, che ancora oggi, a 35 anni di distanza dalla sua prima apparizione in Super Mario, continua a fare la parte della rapita), oppure aiutanti del protagonista, che entrano in scena nel momento in cui questo è in difficoltà, per curarlo o aiutarlo. Nei rari casi in cui hanno ruoli importanti, la loro rappresentazione è al limite del verosimile, con forme fisiche fortemente sessualizzate, costruite ad hoc per soddisfare le fantasie dei giocatori maschi (ad esempio i personaggi femminili di Mortal Kombat, Tekken e Dead or Alive).
Eppure non è vero che alle donne non piace giocare, anzi in alcuni generi sono anche più attive rispetto agli uomini: prediligono i giochi gestionali, di simulazione e i rompicapi. Inoltre, si interessano a tutti quelli che hanno trame avvincenti e ben costruite, oltre che ambientazioni e grafiche curate (il design del gioco è un altro aspetto molto importante).
Di contro, sono meno interessate ai giochi strategici, sparatutto, gare di auto e sport. Ma anche in questo caso vi sono delle eccezioni: il numero di ragazze che giocano a World of Warcraft, League of Legends, Overwatch e Fortnite aumenta costantemente. Alcune sono talmente forti da far parte di squadre che gareggiano a tornei di e-sports e sanno mettere in seria difficoltà le loro controparti maschili. Emblematico è stato il caso della giocatrice Geguri, nickname di Kim Se-yeon, una ragazza coreana di diciassette anni: durante un torneo e-sport di Overwatch venne accusata dai suoi avversari di barare, perché, in quanto donna, appariva troppo forte.
Gli stereotipi, il sessismo e il cyber bullismo nel mondo videoludico
Il caso di Geguri è molto rappresentativo perché dimostra quanto sia ancora forte lo stereotipo secondo cui la donna non è competente (tra le altre cose) a giocare ai videogames. È così ben radicato che è stata necessario fare uno studio scientifico ad hoc per sfatarlo e per dimostrare che il genere sessuale non comporta differenze nelle performances di gioco.
Nonostante questo, ancora oggi è molto comune per le ragazze giocatrici sentirsi insultare durante le partite, con frasi che vanno dal mettere in dubbio le loro capacità in quanto femmine, nel migliore dei casi, agli innumerevoli episodi di cyber bullismo, con intimidazioni e molestie, che purtroppo a volte portano le ragazze a smettere di giocare, pur di non sentirsi più aggredite durante le partite.
Alcune giocatrici, per fortuna, hanno deciso di non arrendersi e hanno iniziato a istituire gruppi di supporto online, in cui incitano le altre gamers a registrare i propri molestatori e renderli pubblici sui social. Chiedono, inoltre, alle aziende produttrici di videogames di prendere provvedimenti contro chi si comporta in modo scorretto e violento all’interno dello spazio di gioco.
Una fetta di mercato importante
E i produttori stanno cercando di correre ai ripari, sia perché hanno ormai capito che il mondo femminile è, ovviamente, una fetta di mercato ghiotta, sia perché, per fortuna, le donne sono ormai presenti anche nel mercato della produzione dei videogames, come developers, produttrici, autrici etc, e reclamano lo spazio che meritano.
Un primo grande passo in questa direzione è stato fatto nel 2013, quando è uscito il reboot di un grandissimo successo degli anni ’90: Tomb Raider. Il personaggio di Lara, un tempo icona sexy e stereotipata, è stato totalmente rivisto, risultando più realistico, con l’eliminazione degli elementi che lo enfatizzavano come oggetto sessuale, e la ridefinizione di un carattere e una psicologia ben precisi e di spessore. Tutto questo lavoro è stato ripagato con un successo enorme, che ha portato a ben due sequel.
Da lì finalmente la situazione si è un po’ sbloccata e oggi è possibile giocare a molti giochi più recenti di qualità altissima che vedono come protagoniste e co-protagoniste delle donne: da God of War (tipico esempio di un gioco con un target prettamente maschile che durante gli anni ha trovato il modo di modificarsi senza snaturarsi, facendo entrare nel proprio universo personaggi femminili importanti) a Horizon: Zero Dawn, The Last of Us e Hellblade: Senua’s sacrifice. Sono tutti videogames con trame eccellenti, grande attenzione alla grafica e design, personaggi femminili che mostrano personalità forti e giocano ruoli un tempo tipicamente maschili (cacciatrici e guerriere, per esempio). Il loro successo si è visto anche nelle vendite, con fatturati milionari.
Nonostante questi accenni di ottimismo, c’è ancora molta strada da fare: il numero di giochi con protagoniste femminili è ancora esiguo e negli ultimi anni sono addirittura diminuiti, segno che, come spesso accade quando si parla di parità di genere, ogni volta che si fa un passo avanti se ne fanno poi altri due indietro.
Ma anche nel mondo dei videogames, come in tutti i campi, la parità di genere non può che portare a miglioramenti: qualità più alta dei giochi, migliore giocabilità, più giocatori con cui giocare, insomma, una migliore esperienza di gioco.
È importante, quindi, che anche in questo campo venga dato spazio alle donne, che siano giocatrici o produttrici, autrici e developers. C’è solo da guadagnarci, in tutti i sensi.
Scritto da Beatrice Omaggio