Come utilizzare un linguaggio inclusivo nella comunicazione scritta? Intervista a Annamaria Anelli, business writer.

Scritto da Francesca Barillà

Il linguaggio parlato e scritto racconta il mondo nel quale viviamo e in base a come lo usiamo può veicolare messaggi diversi e rivelare una parte della realtà che ci circonda.

Soprattutto negli ultimi tempi, vi sarà capitato di leggere articoli o dibattiti sui social a proposito dell’introduzione del linguaggio inclusivo anche nella lingua italiana.

Ma cosa significa linguaggio inclusivo? E come possiamo utilizzarlo nella comunicazione scritta?

Abbiamo affrontato questi temi con Annamaria Anelli, business writer.

Annamaria partiamo dalla definizione di linguaggio inclusivo.

Per rispondere a questa domanda riprendo la definizione utilizzata da Alice Orrù, copywriter e traduttrice.

Il linguaggio inclusivo è libero da parole, frasi o toni che riflettono opinioni pregiudizievoli, stereotipate o discriminatorie verso determinati gruppi di persone.

Questo significa che le parole di un testo inclusivo:

  • Non rafforzano stereotipi di genere.
  • Non sono razziste.
  • Non discriminano le persone in base all’età (quello che in inglese si definisce come ageism).
  • Non sono abiliste (cioè non discriminano le persone con disabilità).

Questa definizione si collega a filo strettissimo con il mio lavoro: per me il linguaggio inclusivo è quello che “tiene dentro le persone”, esattamente come la scrittura piana, chiara e comprensibile della quale mi occupo io. È infatti da vent’anni che lavoro con la scrittura semplice, che per me è sinonimo di efficace, e aiuto le aziende e le Pubbliche Amministrazioni a scrivere in maniera da raggiungere il numero più ampio possibile di persone.

Molto spesso si collega la parola semplificazione a un abbassamento di livello del testo ma in realtà semplificare un testo è un processo che richiede tanto lavoro e ragionamento sul contenuto e sulla sintassi delle frasi.

“La semplicità è la complessità risolta”, mi piace dire.

 

Linguaggio inclusivo e accessibilità dei testi

 

Questi aspetti sulla comunicazione scritta efficace aprono anche a delle riflessioni più ampie sulla questione dell’accessibilità dei testi. Un esempio, fra migliaia che possiamo fare, è quello di evitare le doppie negazioni per facilitare la lettura alle persone con dislessia.

Sì, scrivere testi in maniera semplice significa renderli accessibili e fruibili a un numero ampio di persone, anche a quelle neuroatipiche, che quindi hanno un diverso modo di leggere ed elaborare le informazioni rispetto a quello più diffuso.

Un esempio è scrivere testi che possano essere letti con facilità da un sintetizzatore vocale: quindi evitare le frasi lunghe, le doppie negazioni che hai citato tu, le parole inglesi o in un’altra lingua quando ci sono le corrispondenti in italiano, le sigle senza spiegarle, il passivo, i termini tecnici che nessuno conosce.

Sicuramente è necessario avere in mente a chi sono diretti i nostri testi. Alcune comunicazioni scritte sono rivolte a tutte le persone, altre invece hanno un pubblico più circoscritto e circoscrivibile.

Nel primo caso rientra ciò che scrivono le Pubbliche Amministrazioni, ad esempio, o gli ospedali: in questi ambiti è necessario utilizzare un linguaggio semplice per consentire a chi legge di comprendere tutte le informazioni alla prima lettura.

I testi tecnici, pensati per un pubblico che maneggia certe conoscenze, si possono invece permettere maggiore libertà nell’uso dei tecnicismi. Quindi, se scriviamo a un pubblico ben definito, “del mestiere”, possiamo adoperare un certo gergo, ma comunque sarebbe meglio lavorare sulla fluidità della sintassi: contenere il numero di parole evitando incisi o parentesi molto lunghe, ad esempio.

Tu lavori da oltre 20 anni con le aziende e le Pubbliche Amministrazioni sulla scrittura semplice. Quali sono state le maggiori difficoltà che hai incontrato?

La difficoltà maggiore è stata quella di far comprendere che la semplificazione del linguaggio non intacca l’autorevolezza.

Prima di tutto è una questione di forma mentis, di atteggiamento: se pensi che ridurre la complessità sia “abbassarsi di livello”, come ancora mi capita di sentir dire, non acconsentirai a sperimentare strade alternative a quelle che hai sempre battuto.

La frase “Abbiamo sempre fatto così” è spesso una delle principali resistenze al cambiamento. Quindi non vorrai accorciare le frasi né accetterai che lo stesso contenuto si possa trasmettere con parole più vicine all’esperienza d’uso di chi legge.

Il professor Davide Crepaldi nel suo libro “Neuropsicologia della lettura” ci ricorda che il cervello non ha strutture neuronali specifiche dedicate alla lettura e alla scrittura, mentre le possiede per il linguaggio orale.

Perché sono solo circa 220 generazioni che è nata la scrittura (il linguaggio orale è immensamente più antico) e il cervello non ha ancora l’hardware per la lettura. Quindi come si attrezza per leggere? “Ricicla” strutture neuronali preposte a fare altro (riciclaggio neuronale) e le mette al lavoro per identificare lettere, parole e significati.

La lettura è un processo complesso, che richiede un deciso sforzo cognitivo, per cui è nostra responsabilità rendere i testi accessibili utili a “farci capire” dalle persone.

Non possiamo obbligare le persone a leggere un testo, ma possiamo invogliarle a farlo rendendo la nostra comunicazione semplice, chiara e diretta. In una parola: inclusiva.

E qui ci ricongiungiamo alla questione del linguaggio inclusivo

Esattamente. È difficile rendersene conto perché noi siamo il centro del nostro mondo e il nostro modo di vedere le cose pensiamo sia quello di tutti e tutte, cioè normale. Cosa voglio dire? Che la comunicazione scritta e orale è generalmente pensata per persone scolarizzate, neurotipiche e che per informarsi leggono. E le altre cosa devono fare, quindi? Le persone con una disabilità visiva o auditiva? Le persone dislessiche o disortografiche? Quelle che hanno una ridotta capacità di conservare le informazioni nella memoria a breve termine? Quindi, scrivendo in un certo modo, escludiamo del tutto un’ampia fetta di popolazione.

Allo stesso modo, quando scriviamo o, in generale, comunichiamo rivolgendoci solo a persone binarie escludiamo tutta quella fetta di persone che non si riconoscono del tutto né in un sesso né in un altro. Quindi queste persone che cosa devono fare per entrare nei nostri radar? Per sentirsi rappresentate, per far sapere che esistono? Cosa devono fare per farci sapere che sarebbe bello che con le parole riconoscessimo la loro esistenza? Ecco, in realtà lì fuori, qui fuori, c’è un mondo portatore di ricchezza che parla da tanto tempo, il problema è che non solo non l’abbiamo mai ascoltato, ma proprio non ci rendevamo conto della sua esistenza.

Mi rendo conto che facciamo fatica a districarci tra sesso biologico, identità di genere, orientamento sessuale, espressione di genere e fluidità di genere. E tra abilismo, ageismo e neuroatipicità. Fatto sta che queste non sono solo parole. Sono parole, sì, ma che chiedono e necessitano di avere un riflesso nella nostra scrittura quotidiana, anche nelle organizzazioni, perché danno (finalmente) visibilità e consistenza alle persone che ci sono dietro. Sono parole grazie alle quali rivestiamo individui con corpi, facce, cuori, sogni; ma anche lotte, discriminazioni, frustrazioni, desideri.

Prima di tutto quindi è una questione di etica, di rispetto, ma per le aziende diventa anche una questione economica.

Le persone della Generazione Z (nate dalla fine degli anni Novanta) sono più informate e più sensibili su questi temi perché vivono da sempre a contatto con un mondo ampio e sfaccettato e per loro certe realtà sono diventate “normali” perché, semplicemente, molto frequenti.

A me piace definire le persone della Generazione Z come “gazzelle” e noi, quando fatichiamo a tenere il passo, come “brontosauri”. È chiaro che dobbiamo imparare a comunicare con loro, a intenderci sulle parole e su cosa rappresentano.

Fra pochi anni queste “gazzelle” faranno delle scelte politiche e di acquisto e dirigeranno la loro attenzione verso quelle realtà che nel frattempo si sono evolute e si sono dimostrate più consapevoli.

 

Linguaggio senza stereotipi di genere e linguaggio inclusivo

 

Perché è così importante agire sul linguaggio, Annamaria?

Perché se agiamo sulle parole, se decidiamo di usarne certe o di non usarne più altre, piano piano cambia anche il nostro e l’altrui modo di vedere ed elaborare la realtà.

Le parole sono il riflesso della società, ma le parole, a loro volta, possono indirizzare il modo in cui guardiamo e pensiamo quella società. Nel nostro caso, se usiamo l’alternativa femminile/maschile parlando non solo di persone ma anche di cose (come fa la lingua italiana attribuendo un genere grammaticale anche agli oggetti) e se questa alternativa non ammette sfumature intermedie, è chiaro che giudicheremo ogni cosa o fatto o persona in base a questa dicotomia.

La grammatica italiana (come altre) attribuisce un genere sia agli oggetti inanimati sia a quelli animati (persone e animali).

Il genere grammaticale è una convenzione linguistica. Abbiamo deciso che tavolo è di genere maschile e sedia di genere femminile, ma questa scelta non fa riferimento a presunte caratteristiche maschili o femminili del tavolo o della sedia.

Per le persone, invece, il genere si attribuisce in base alla presenza di organi sessuali femminili o maschili. Quindi diciamo che qualcuno è un uomo se ha organi sessuali maschili o è donna se ha organi sessuali femminili.

Perciò, se in italiano (ma non solo) tutto è o femminile o maschile è chiaro che saremo portati e portate a credere che tutto si risolva in questa dicotomia e che niente esista al di fuori di essa. Ma le identità non binarie stanno lì a spiegarci proprio il contrario.

Tornando alle parole. Per tanto tempo abbiamo usato senza esserne consapevoli il maschile sovraesteso come se fosse una forma neutra della lingua.

Ad esempio, per indicare una moltitudine di persone con sessi diversi (i colleghi, i fornitori, i dirigenti); per concordare (Francesca e Giovanni sono partiti prima di noi) oppure per indicare un ruolo o una carica: il Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen oppure i ministri del Governo Draghi. Von der Leyen però è una donna e nel governo Draghi ci sono anche ministre.

Come la mettiamo? Intanto è bene ricordarci che l’italiano il neutro non ce l’ha: i nomi maschili singolari e plurali sono, appunto, nomi maschili. Quindi è meglio essere consapevoli del fatto che commettiamo una dissimmetria grammaticale nell’adoperare il maschile per riferirci sia a donne sia a uomini.

È del 1987 la pubblicazione “Il sessismo nella lingua italiana” di Alma Sabatini che nella sezione dedicata alle raccomandazioni per un uso non sessista della lingua spiegava l’importanza di non nascondere la presenza femminile nella società adoperando l’imperante maschile sovraesteso.

Il discorso è partito ben più di trent’anni fa, ma nonostante i lavori, le pubblicazioni, l’impegno di tante studiose si è preferito il mantenimento dello status quo. Peccato che la società nel frattempo è corsa avanti, anche se ufficialmente niente si muoveva. E adesso, alla questione maschile e femminile si aggiunge quella del non binarismo.

Non basta solo lavorare per dare un nome alle donne là dove le donne nella società fanno le ingegnere, le architette e le sindache oltre alle segretarie, le cuoche e le maestre.

Adesso ci dobbiamo prendere l’impegno di dare voce e rappresentanza a chi nella dicotomia femminile/maschile non trova collocazione.

Un linguaggio inclusivo permette a tutti i generi di autodefinirsi ma per utilizzare una comunicazione scritta e orale inclusiva è necessario un processo di consapevolezza e presa di coscienza.

Comunicare in modo inclusivo significa abbracciare un ampio raggio di persone.

Ci puoi dare dei suggerimenti per scrivere utilizzando un linguaggio inclusivo?

  • Un primo suggerimento è di rivolgersi direttamente alle persone.

“I servizi della nostra banca si rivolgono ai clienti che da sempre ci riconoscono serietà e impegno” non funziona perché si rivolge solo al genere maschile.

Un primo passo, molto positivo, è stato scrivere: “I servizi della nostra banca si rivolgono ai clienti e alle clienti che da sempre ci riconoscono serietà e impegno”.

Un modo per includere davvero tutti i generi è quello di scrivere, ad esempio: “Questi servizi sono per te che ci riconosci da sempre serietà e impegno”.

  • Possiamo usare i pronomi indefiniti come chi o chiunque.

Al posto di scrivere “Tutti possono collegarsi non solo i dipendenti” potremmo scrivere “Chiunque può collegarsi, non solo chi è dipendente”.

  • Possiamo usare parole opache come persona o individuo.

La frase “Gli uomini nascono tutti uguali” potrebbe diventare “Le persone nascono tutte uguali”.

  • Possiamo usare le parafrasi e sostituire la frase “Gli studenti e le studentesse sono i benvenuti nella nostra università” con “Un benvenuto a chi studia nella nostra università”.

E ancora: “Ci rende davvero orgogliosi” può diventare “Ci riempie di orgoglio”; “Benvenuto nel nostro servizio clienti” può diventare “Stai per connetterti con il nostro servizio clienti”.

Ci sono poi dei casi in cui possiamo sperimentare l’uso dell’asterisco o della ə, ad esempio nei saluti iniziali delle e-mail o nei post social: “Ciao a tutt*” o “Ciao a tuttə”.

Insomma, la strada c’è, iniziamo a imboccarla.

Grazie di cuore ad Annamaria Anelli per il tempo e la professionalità che ci ha dedicato.

 

 

Glossario: comunicare senza discriminare

Parlare Civile

Temi di genere

Linee guide sull’uso del genere nel linguaggio amministrativo

La questione dei nomi delle professioni al femminile una volta per tutte

Linguaggio inclusivo: perché non è solo una questione di genere

https://www.treccani.it/enciclopedia/genere-e-lingua_(Enciclopedia-dell’Italiano)/

https://aulalettere.scuola.zanichelli.it/come-si-parla/verso-linclusivita-linguistica-e-oltre/

Linee guida istituzionali

Linee guida Robustelli

Linee guida MIUR

Università di Siena;

Università di Trento;

– Università di Padova sul linguaggio di genere e su quello della disabilità.

Ricerca: La comunicazione istituzionale al femminile. Per una comunicazione attenta al genere.

Ə * U

Italiano Inclusivo di Luca Boschetto

Linguaggio inclusivo 1 Vera Gheno

Linguaggio inclusivo 2 Vera Gheno

Guida pratica al linguaggio inclusivo TDM Magazine

 

 

 

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