Di Laura Senziani – Responsabile YWN Advocacy Lobbying & Research
Giugno rappresenta l’inizio dell’estate, il preludio delle tanto attese vacanze e dei weekend al mare, ma è anche il mese in cui si celebra l’orgoglio arcobaleno e in cui si concentrano numerose iniziative contro l’omobitransfobia, la cui più importante è sicuramente il Pride.
Giugno non è stato scelto come mese Pride a caso. Era il 1969 quando, nelle prime ore del 28 giugno, alcuni poliziotti fecero irruzione nel gay bar di New York, Stonewall Inn, per le consuete perquisizioni e arresti per reati contro la morale e il buon costume. Non era la prima volta. Mai prima però i frequentatori del locale decisero di reagire per 5 notti intense di scontri, opponendosi agli arresti e ai soprusi, accendendo la scintilla della resistenza per la libertà omosessuale. Da questa prima forma di rivoluzione a colori, presero il via i movimenti LGBT+ in tutto il mondo ed il primo Gay Pride.
Cosa è il Pride? Pride è libertà, amore, sostegno, alleanza e ricordo per quanta strada è stata fatta e quanta ancora ce n’è da fare per costruire un futuro più equo e inclusivo. Il Pride è una marca solidale, una parata dell’orgoglio LGBT+ (lesbian, gay, bisexual, transgender and plus – tra cui queer, intersexual ecc…) che ogni anno chiede al mondo e in tutto il mondo gli stessi diritti che per la maggior parte delle persone sono date per scontate; non per la comunità LGBT+. In molte zone del mondo l’omosessualità è un reato, punito severamente e scritto nero su bianco nei codici penali di 69 paesi, tra cui la Nigeria e l’Indonesia; 6 di questi paesi prevedono la pena di morte (Arabia Saudita, Iran, Emirati Arabi Uniti, Somalia, Mauritania e Yemen): la pena per essere semplicemente se stessi è perdere la propria vita.
E non serve andare troppo lontano: in casa nostra, in Italia, non passa settimana senza leggere sui giornali di episodi di omofobia in cui giovani coppie vengono offese e addirittura aggredite in strada, sui social, nei luoghi di lavoro. O ancora giovani che vengono rinnegati dalle proprie famiglie perché omosessuali o imprigionati in un corpo che non sentono loro.
Questo è più che sufficiente per giustificare la continua necessità di dedicare un mese al Pride e di sostenere ogni giorno dell’anno la causa e la lotta per i diritti LGBT+.
Noi di YWN abbiamo intervistato, in occasione del mese Pride, Matteo Winkler – professore presso HEC Paris, chair del Diversity Committee e docente di Diversity & Inclusiveness. Con lui abbiamo chiacchierato di diritti LGBT+, di inclusione, dei valori che il Pride rappresenta e di come ognuno di noi può nel suo piccolo fare attivismo.
Come descriveresti il tuo lavoro? Cosa ti ha spinto ad occuparti a livello accademico di inclusione delle diversità?
Mi occupo di diritti LGBT+ dal 2009, quando in Italia il dibattito era ancora arido e relegato a pochi interessati. All’epoca tornavo da un lungo periodo di studio a Yale e mi resi conto che potevo contribuire, grazie a quanto appreso in America, a stimolare nuove idee e far avanzare così il discorso sui diritti LGBT+ nel nostro Paese. Ho perciò cercato di affrontare il tema attraverso le lenti del diritto internazionale e dei diritti umani, dotandolo di una veste accademica e sfruttando la logica delle argomentazioni avanzate nelle corti americane. In sostanza, ho cercato di rispondere al rifiuto della politica di occuparsi delle persone LGBT+ affermando che si trattava di diritti riconosciuti a tutti gli altri, quali il diritto al rispetto della vita privata, alla sicurezza giuridica, a una vita familiare, al matrimonio, all’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, all’adozione e via dicendo. Ho cominciato coinvolgendo i miei studenti nel dibattito (nel frattempo avevo iniziato a insegnare all’Università Bocconi) e poi costruendo pian piano relazioni con aziende e ONG che volevano affrontare il problema dei diritti delle persone. In tal modo credo di aver contribuito a fare avanzare la materia anche nel dibattito pubblico più generale.
Che significato ha per te la celebrazione del Pride e come credi possa aiutare oggi a sensibilizzare la società civile verso l’inclusione LGBT+ nel nostro paese?
Innanzitutto al Pride bisogna andarci per capire che cosa è davvero. È una bellissima marcia di persone che si divertono, perché il Pride è soprattutto l’occasione di mostrarsi per quello che si è, rompendo la logica dei corpi non conformi e dei gay come deviati o non-normali. Il mio primo Pride è stato nel 2005 a NY mentre studiavo all’Università di Yale, e fu un grande evento, in cui ho visto sfilare fianco a fianco cittadini di tutte le etnie, associazioni LGBT+ nella polizia e le autorità politiche, in un ventaglio di vera diversità. In Italia il Pride è un evento pubblico la cui componente politica assume molta rilevanza e rappresenta una marcia importantissima perché trasmette valori quali il riconoscimento di essere una comunità con un’identità propria, il richiamo all’esigenza di solidarietà e il superamento a gran voce della nostra quotidiana vulnerabilità.
È un modo per dire “noi ci siamo, noi esistiamo, nonostante tutto”
Peraltro, quando parliamo di Pride parliamo non solo di una marcia per le vie della città, ma anche di una serie di eventi di formazione ed educazione, quali conferenze e dibattiti, a cui chiunque può partecipare e che arricchiscono la conoscenza e alimentano la discussione sulla lotta LGBT+, il tutto ovviamente scandito dalla marcia finale. È importante capire che dietro a questi eventi ci sono centinaia di persone che vi lavorano e il cui fine è sensibilizzare più persone possibili verso le tematiche LGBT+. È importante anche far entrare il Pride nelle proprie case e nelle famiglie, portandolo negli angoli più nascosti della nostra società, dove essere omosessuali o transessuali è ancora considerato sbagliato. Penso che solo così si potrà costruire un futuro più equo e che consenta a tutt* di potersi creare la propria identità ritagliandosi il proprio spazio nella società e dando un senso alla propria esistenza, che attualmente è causa – ancora troppo spesso – di ostacoli, anche nel contesto della famiglia. Ci sono anche dei Pride che finiscono nel sangue come in alcuni paesi, quali l’Uganda, la Russia ecc. In certe parti del mondo il Pride è un vero e proprio atto di coraggio e non possiamo neanche immaginare quanto costi sacrificio a questi capitani coraggiosi che sfidano lo status quo per il bene delle future generazioni.
Mi ha sempre affascinato il fatto che quando fai militanza lo fai non soltanto per te ma soprattutto per gli altri, per i giovani, per chi verrà dopo di te, per lasciare un mondo migliore di quello che si è trovato.
Sentiamo continuamente notizie su episodi e micro aggressioni omofobiche contro le persone LGBT+ che liberamente camminano per strada (e chissà quanti episodi di discriminazione e violenza sommersi nel quotidiano non vengono portati alla luce), quale credi sia la ricetta necessaria attualmente per curare il morbo dell’intolleranza all’interno della società civile? E fino a che punto la normativa è di aiuto e come può essere un vero sostegno?
Il numero delle aggressioni omofobiche è aumentato per visibilità e per quantità perché quando si combatte per i propri diritti bisogna sempre fare i conti con chi difende lo status quo, e quando il conflitto si fa più visibile ecco che diventiamo più vulnerabili. Ci sono continue microaggressioni e attacchi omofobi invisibili o celati dietro a battutine e scherzi goliardici, ma ora vedo crescere una sensibilità diversa. Gli elementi che credo essere imprescindibili per una lotta per i diritti LGBT+ sono:
– Una legge che protegga e punisca gli attacchi d’odio dovuti all’identità della vittima; ciò rappresenta la manifestazione della disponibilità dello Stato a riconoscere e porre rimedio alla vulnerabilità quotidiana delle persone LGBT+.
– L’educazione, nelle scuole prima di tutto: a scuola va introdotto un quadro di regole generali in cui le tematiche di inclusione vengono dibattute e affrontate attraverso un messaggio positivo. In una scuola ideale un preside dovrebbe esporsi e prendere posizioni nette e ferme contro gli episodi di omobitransfobia che vi hanno luogo, affrontando con coraggio i casi specifici con l’obiettivo di proteggere sempre i ragazzi e le ragazze LGBT+, che sono più vulnerabili. È necessario educare anche i docenti, abituarli ad alimentare il dibattito aperto, libero ma consapevole, ed è necessario che siano loro in primis a prendere posizioni contro i discorsi d’odio a favore invece di un linguaggio e comportamento inclusivo. Gli studenti e le studentesse devono essere parte attiva, è necessario dar loro voce e chiedere cosa pensano, rimettendoli al centro.
– La componente sociale: il diritto non sempre riesce ad entrare nelle case e la minaccia di sanzioni penali spesso non ha efficacia preventiva o deterrente. Ci sono però altri strumenti quali la mediazione assistita tra vittima e aggressore, l’educazione nelle scuole (come abbiamo detto) e soprattutto c’è il dibattito pubblico nel quale bisogna rimettere al centro la vita, le persone e i diritti fondamentali.
Come professore e attivista, dalla tua esperienza, come vedi porsi le nuove generazioni di fronte ai temi dell’inclusione? Hai notato un cambiamento e un’evoluzione negli ultimi anni?
In questi anni ho visto un’evoluzione copernicana nei diritti delle persone. Tempo fa non si toccavano certi temi quali l’omosessualità, la costruzione sociale del genere, la possibilità di essere genitori e omosessuali, perché forte era il controllo della religione, che reclamava l’ultima parola. Ho visto il diritto riconquistare gli spazi che gli erano propri. A questo risultato hanno contribuito gli attivisti, che però difficilmente riescono a entrare nelle case di tutti. La rivoluzione tecnologica ha certamente aiutato l’attivismo ad avvicinarsi alle persone LGBT+ offrendo nuovi modelli (role model) e nuove conversazioni possibili sui diritti civili. Vi è maggior accessibilità alla conoscenza e questo alimenta il dibattito, alimenta la fame di diritti e la vicinanza nei confronti di tematiche che ora sempre più le persone sentono come proprie. Ciò nonostante, fare advocacy è ancora difficile, perché la narrazione pubblica della vita delle persone LGBT+ è dominata da fake news e dalla propaganda incontrastata delle destre, che sta diventando estremamente preoccupante.
Invidio le nuove generazioni, perché alla loro età di oggi vorrei aver avuto la loro apertura mentale, la loro capacità di socialità e di stringere amicizie a livello transnazionale che è fonte inesauribile di arricchimento. Ho grande speranza nel futuro, se siamo in grado di ascoltare i giovani di oggi, perché questa è l’unica cosa che chiedono e l’unica cosa che conta.
Il nostro motto come YWN è #AchieveMoreTogether. Quanto ritieni giochi un ruolo importate il networking e il fare rete, quale volano di maggior tolleranza, alleanza e libertà nei confronti della propria e altrui identità sessuale?
L’essere umano vive di due cose: il riconoscimento di sé e quello ricevuto dagli altri. In altri termini, facciamo tutto quello che facciamo perché gli altri ci vedano in un certo modo e le nostre azioni si inseriscono in questi due assi. Fare networking è pertanto essenziale e per il dibattito LGBT+ è fondamentale il ruolo attivo delle associazioni, come unioni di persone volte a combattere per una causa comune, così come creare un gruppo di alleati all’interno dei luoghi di lavoro. È anche importante creare una rete di contatti tra più tipologie di soggetti, quali associazioni, imprese, istituzioni, scuole, perché la diversità di idee e di punti di vista fortifica il riconoscimento della causa LGBT+.
Ti chiediamo di lasciarci con 3 “actions to do from tomorrow” che ognuno di noi può fare nel proprio quotidiano per alimentare la catena dell’inclusione?
1- Fare rete attraverso le associazioni, uscendo dalla propria confort zone lasciandosi contaminare da realtà diverse.
2- Partecipare attivamente e farsi carico nel proprio ambiente di lavoro e nel proprio gruppo di amici di iniziative a sostegno della causa LGBT+.
3- Educare se stess* e gli altri, senza dare mai niente per scontato, ad esempio stigmatizzando il comportamento omofobico quando lo intercettiamo, reagire all’intolleranza delle battutine sottili e delle umiliazioni, sviluppando solidarietà ed empatia.
E voi cosa inizierete a fare da domani?
Buon mese Pride a tutt*!