Dott.ssa Parrella all’anagrafe, Direttore generale Coordinatrice Ufficio per gli interventi in materia di parità e pari opportunità alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento Pari Opportunità.
Cosa rende attuale il tema delle pari opportunità?
La tematica delle pari opportunità è sempre attuale perché promuovere una cultura di pari opportunità tra uomo e donna significa in primo luogo eliminare e scardinare gli stereotipi di genere che purtroppo ancora persistono nei diversi ambiti della società.
Rispetto ai progressi fatti in campo economico politico e sociale, permangono in Italia come in Europa stereotipi culturali che di fatto impediscono alle donne di poter sfruttare a pieno tutte le loro potenzialità. Si tratta di un ostacolo alla crescita economica del nostro Paese, come dimostrato da studi scientifici della VBanca d’Italia, del fondo Monetario Internazionale da ultimo dell’EIGE.
Di conseguenza la tematica rimane attuale e il Dipartimento delle Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio è costantemente coinvolto in iniziative e promotore di interventi volti all’eliminazione degli stereotipi di genere, anche attraverso campagne di sensibilizzazione.
Disparità di genere in ambito lavorativo: quali sono i limiti del ruolo delle politiche pubbliche? E’ possibile pensare di risolvere questi problemi soltanto a livello di policy?
Com’è noto in questi anni il mondo del lavoro sta attraversando una fase di profondi cambiamenti, che stanno mutando radicalmente le modalità e i tempi, la partecipazione delle donne al mercato e la struttura familiare, spingendo con forza e urgenza verso un ripensamento del tema della conciliazione dei tempi di vita e lavoro. Le donne rappresentano, infatti, oggi la metà della popolazione mondiale. Tuttavia, il loro contributo alla vita economica e sociale è ancora lontano dall’essere all’altezza delle loro potenzialità e questo principlamente per le difficoltà che incontrano nella conciliazione della propria vita, e soprattutto delle incombenze di cura familiare, con il lavoro.
E’ certamente una problematica complessa quella della disparità di genere in ambito lavorativo e se da un lato le sole politiche pubbliche attuate possono non bastare, è comunque necessario partire da un inquadramento normativo favorevole, che rappresenta senz’altro un contesto imprendiscibile. Di seguito alcuni esempi.
Nell’ordinamento italiano la tutela delle pari opportunità trova un fondamento a livello costituzionale nel principio di uguaglianza, sancito dall’articolo 3, come compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza, impediscono la realizzazione di condizioni di effettiva parità.
Con riferimento specifico al lavoro pubblico e privato, il legislatore ha provveduto, nel corso degli anni, a definire una serie di strumenti per garantire le pari opportunità sul luogo di lavoro, contrastare le discriminazioni e promuovere l’occupazione femminile.
Oltre alle norme costituzionali:
– articolo 51, primo comma, prevede che tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possano accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A seguito di una modifica del 2003 (L. Cost. n. 1/2003), è stato aggiunto un periodo secondo cui la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini.
– articolo 37 Cost., dispone che la donna lavoratrice abbia gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni spettanti al lavoratore. Vi si stabilisce, inoltre, che le condizioni di lavoro devono essere tali da consentire alla donna l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione.
– articolo 117, settimo comma, Cost., come modificato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, che prevede che le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.
Le politiche per le pari opportunità si sono arricchite nel tempo di varie norme volte a combattere le discriminazioni ed a promuovere una piena attuazione del principio di uguaglianza. Il “Codice delle pari opportunità tra uomo e donna”, approvato con decreto legislativo 11 aprile 2006, 198 prevede specificamente “azioni positive” introdotte nel nostro ordinamento dalla legge 10 aprile 1991, n. 125 .
Con riferimento specifico al Pubblico Impiego, nel 2007 è stata emanata dal Ministro per la Funzione Pubblica e quelle delle Pari Opportunità la Direttiva 23 maggio 2007 sulle “Misure per attuare parità e pari opportunità tra uomini e donne nelle amministrazioni pubbliche”.
Nel 2009, con l’applicazione del Decreto legislativo n. 150/2009 – cd. Riforma Brunetta della pubblica amministrazione, è stato inquadrato il tema delle pari opportunità nel ciclo di gestione della performance. Per la prima volta, con l’art. 8 Decreto legislativo n. 150/2009 (“Ambiti di misurazione e valutazione della performance organizzativa”) e con l’art. 9(“Ambiti di misurazione e valutazione della performance individuale”) viene inclusa la questione della parità e delle pari opportunità in una normativa di carattere generale tra i fattori di misurazione e valutazione della performance organizzativa di un’Amministrazione.
Inoltre, in un contesto in cui la flessibilità nell’organizzazione del lavoro sta diventando sempre più rilevante sia per i dipendenti, per le loro esigenze di conciliazione famiglia-lavoro, sia per i datori di lavoro, alla ricerca di nuovi modi per incrementare la produttività e trattenere nell’organizzazione i talenti, si aggiunge una nuova misura legislativa, ovvero l’articolo 14, della Legge 7 agosto 2015, n. 124 – C.d. Riforma Madia della Pubblica amministrazione, dedicato alla promozione della conciliazione dei tempi di vita e lavoro nelle amministrazioni pubbliche. Con questa disposizione, si introduce nell’amministrazione pubblica un nuovo modello culturale del lavoro, nell’ottica di una maggiore produttività e un maggiore risparmio, cosa che tra l’altro nei settori più avanzati del lavoro privato avviene già convenzionalmente da molto tempo.
Inoltre, per agevolare l’imprenditoria femminile specifiche policy sono state adottate dal Governo italiano:
Istituzione della Sezione Speciale “Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento Pari Opportunità” del Fondo centrale di garanzia (operativa dal gennaio 2014), strumento di ingegneria finanziaria dedicato in via esclusiva alle imprese femminili e, dal 6 luglio 2015, alle professioniste, che agevola l’accesso al credito con il coinvolgimento di un soggetto finanziario già operante sul mercato: il Fondo di Garanzia per le PMI.
Stipula del Protocollo d’Intesa della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento Pari Opportunità con Ministero dello sviluppo economico, Associazione bancaria italiana (ABI), Confindustria e altri (firmato il 4 giugno 2014 e rinnovato fino al 31 dicembre 2017) al fine di agevolare l’accesso al credito alle imprese femminili e alle lavoratrici autonome nella fase di creazione di nuove imprese o dell’avvio della professione.
Lei ha partecipato a numerosi scambi e dibattiti internazionali. Come si colloca l’Italia agli occhi degli interlocutori esteri sul tema delle pari opportunità?
La normativa italiana in materia di pari opportunità, come ho illustrato nella risposta al quesito due, è sicuramente all’avanguardia rispetto agli altri paesi europei ed è in evoluzione. Di particolare rilievo e carattere innovativo è in particoalre la legge sulla parità di accesso agli organi delle società quotate in borsa e delle società pubbliche (legge 12 luglio 2011, n. 120), che apporta significative modifiche al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, allo scopo di tutelare la parità di genere nell’accesso agli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in mercati regolamentati e nelle società pubbliche.
Nonostante ciò l’Italia, come è emerso di recente dalla pubblicazione del rapporto sulla parità di genere del World Economic Forum 2016 ha perso posizioni nella classifica mondiale delle disparità tra uomini e donne. Secondo il Global Gender Gap, l’indice stilato dal World Economic Forum che misura quanto (e cosa) manca per raggiungere la parità, l’Italia si attesta sulla 50esima posizione (perdendo posizioni rispetto al 41esimo posto del 2015). A livello mondiale i modelli sono sempre quelli dell’Europa del Nord che occupano le prime quattro posizioni, Islanda in testa. Nella classifica generale anche la Slovenia supera l’Italia. La situazione, soprattutto comparando i dati dell’Italia con il resto d’Europa, sta comunque evolvendo positivamente in diversi campi. Riguardo per esempio il lavoro e il gender pay gap in Europa ci sono più donne laureate che uomini, ma nonostante questo continuano a guadagnare di meno.
In Italia, secondo il Gender Gap Report 2016, le donne guadagnano meno degli uomini. Per l’esattezza, gli uomini guadagnano il 12,2% in più rispetto alle donne. La percentuale è al di sotto della media europea, secondo la quale le donne in Europa guadagnano oltre il 16% in meno degli uomini. Occorre però effettuare una precisazione, bisogna infatti tenere presente che tali dati sono il risultato di analisi statistiche realizzate su campioni complessi, che tuttavia non sempre tengono conto di alcune variabili strettamente connesse alla presenza delle donne nel mercato del lavoro. Uomini e donne non fanno gli stessi lavori, non sono occupati negli stessi settori, hanno diverse progressioni di carriera, non hanno le stesse caratteristiche personali (età, anzianità sul lavoro, istruzione). Inoltre, le donne tendono ad essere concentrate nei settori di attività e nelle occupazioni (insegnanti, impiegati, il personale infermieristico) caratterizzate da bassi livelli retributivi. Ad esempio nei settori tecnologici-scientifici, generalmente tra i più remunerativi, la presenza delle donne è nettamente inferiore. A ciò si aggiunga che la parte variabile della retribuzione, ad esempio nelle forme di premi di produttività, straordinari,valutazione della performance, è generalmente riconosciuta in percentuale maggiore agli uomini.
Rispetto all’ imprenditoria e alla leadership femminile ci sono dati positivi a livello europeo. L’Italia è al secondo posto in Europa quando si parla di donne imprenditrici. A riportarlo è il rapporto sull’imprenditoria dell’Ocse, da cui risulta che nel nostro paese il 16 per cento delle donne impiegate è imprenditrice o lavoratrice autonoma. Una percentuale che supera quella di Stati come Francia, Regno Unito e Germania, i quali paradossalmente hanno, a differenza nostra, politiche del lavoro al femminile ben più avanzate. Se tra i paesi dell’Unione europea, l’Italia è da sempre caratterizzata per un basso livello di occupazione femminile, le differenze di genere si sono ridotte per un più forte impatto della crisi sulle occupazioni più tipicamente maschili, incardinate di più nell’industria e nelle costruzioni, e per una maggiore tenuta di quelle femminili più presenti nei servizi.
Sappiamo che il dibattito sulle pari opportunità, così come l’intera discussione femminista, è composto di varie anime non sempre concordi. Le ‘quote rosa’ possono essere un caso emblematico, quale è la sua posizione a riguardo?
Rispondo rispetto all’applicazione di quote di genere (non rispetto alle quote rosa, termine che non mi piace usare), che ho potuto valutare nell’ambito del lavoro di monitoraggio e vigilanza che il mio ufficio svolge sull’applicazione dell’equilibrio di genere nelle società pubbliche.
Il ricorso alle quote ha visto nel corso degli ultimi anni nuovi impieghi in contesti diversi. Gli effetti prodotti dall’applicazione delle quote di genere sono da considerare positivi non solo in termini di aumentata presenza femminile negli organi decisionali delle società pubbliche e quotate, ma anche in relazione ad evidenze di tipo qualitativo che non sono direttamente connesse con il dispositivo di legge ma che possono essere ricondotte alla sua applicazione. Per esempio abbiamo rilevato effetti che, secondo al letteratura internazionale, sono associati a quella che viene chiamata buona corporate governance,. Dopo la legge c’è stato un aumento di membri dei CDA con un più alto livello di istruzione e una età media più bassa. Inoltre sono diminuiti i membri appartenenti a più boards e diminuisce la frequenza dei rapporti di parentela all’interno dei boards.
Quale significato attribuisce all’attributo ‘femminista’? La sua risposta è sempre stata questa o è mutata nel tempo?
Per anni, diciamo fino ai miei trent’anni, ho considerato la parola femminista superata, una sorta di retaggio d’altri tempi. Mi sono ricreduta negli ultimi anni. L’orgoglio femminile è il principale presidio rispetto alle conquiste attuate in termini di parità e soprattutto può rappresentare la leva per raggiungere rispetto ai traguardi sempre più avanzati in termini di parità e pari opportunità.