Il mondo della comunicazione visto da infiniti occhi, di una sola persona, mossi da curosità e ricerca continua.
“Non avere mai paura di sconfinare” è il messaggio che ci regala Serena. Credo sia questa la filosofia che la muove. Sempre, nella vita e sul lavoro, “che poi in realtà fanno parte dello stesso gioco”.
Serena Scarpello ha 36 anni ed è da un anno la Head of Content di Studio Editoriale, una piattaforma dalle tante anime, ma con un’unica attitudine: la cura del dettaglio, la volontà di approfondire, la ricerca del bello. Studio Editoriale pubblica Rivista Studio, il magazine di attualità e cultura, e Undici, il bimestrale dedicato allo sport, e incorpora un’agenzia creativa, MoSt. Anche MoSt idea e produce magazine, per i brand. Studio è anche eventi, incontri e la passione di una community.
Dietro l’attuale posizione di Serena c’è un vissuto, un background che non è replicabile: si tratta di anni di lavori diversi nel variegato mondo della comunicazione, la passione per le riviste, la ricerca e i viaggi, le letture e gli incontri, lo studio, l’esplorazione, i sogni. E la consapevolezza che “nulla è impossibile”.
Credo che la sua esperienza possa essere d’ispirazione per tante e tanti di noi, perché ci mostra quanto sia importante tentare strade nuove, anche più strade insieme, seppur tra innumerevoli incertezze. Quante volte tentenniamo di fronte al cambiamento?
Serena è nata a Pescara, città a cui è enormemente affezionata. Il suo accento si percepisce, poco, ma c’è. Quel pizzico di terra e mare che si porta dietro orgogliosamente. Ha studiato Scienze Politiche a Roma. Il sogno era la carriera diplomatica, ma la passione per il giornalismo era più forte. A 20 anni fa un’esperienza a Madrid, pochi anni dopo a Bruxelles. “Credo che queste due esperienze all’estero mi abbiano dato tanto: un approccio alla vita”. È quel che nessuna scuola può dare: la capacità di adattamento.
Nel 2008, Serena arriva a Milano, dove entra in Class CNBC come giornalista economico-finanziaria. “La finanza non era il mio settore”. Serena, anche qui, si adatta e a 24 anni diventa volto e voce televisivi. Un sogno di tante e tanti. “Avere la possibilità di intervistare figure di rilievo come economisti, premi Nobel, amministratori delegati è una lezione di vita”.
Serena al Forum The European House – Ambrosetti a Cernobbio nel 2012
Foto di Sergio Oliverio
Dopo sei anni, passa al mondo aziendale, portandosi dietro l’esperienza di giornalista: viene infatti scelta per dirigere la rivista di Manpower, LinC. “Non sapevo come si dirigesse una rivista”, ma anche qui Serena si butta. Studia e fa ricerca; s’ispira alle più belle riviste del mondo. Aveva già scritto per le testate di Class – Milano Finanza e Italia Oggi – e la passione per le rivista era già parte del suo essere, ma dirigere un magazine è una sfida ancora nuova e diversa. Serena ha creato così una redazione di giornalisti e scrittori, l’ha gestita, ha coinvolto illustratori e grafici, sempre alla ricerca del nuovo, del bello, della perfezione. E oltre a dirigere LinC diventa responsabile ufficio stampa di Manpower in Italia. “E qui incontro il meraviglioso mondo di EXPO, che ho seguito in prima linea: LinC cresce, nasce l’edizione inglese, usciamo con il Corriere della Sera, organizzo eventi e momenti di dibattito. Un’esperienza immersiva”.
E poi il salto in un’agenzia di comunicazione internazionale, Havas, “dove ho creato una content factory; ho mantenuto la direzione della rivista LinC, occupandomi anche di altre riviste aziendali. E l’ho fatto grazie all’esperienza accumulata come giornalista, la direzione di una testata e il lavoro di ufficio stampa”.
Un fil rouge che conduce Serena al mondo di Studio. Studio Editoriale mette insieme tutto il passato di Serena, come una matassa che prende una forma nuova: le riviste per il pubblico e le riviste dei brand, il giornalismo e la consulenza, la creatività e il dibattito.
Rivista Studio nasce nel 2011 da Alessandro De Felice e Federico Sarica, Undici nel 2014 con l’arrivo di Giuseppe De Bellis.
Serena era una fan di Rivista Studio dal giorno uno. Me lo ricordo… quando mi parlò per la prima volta di Rivista Studio, con gli occhi illuminati e pieni di entusiasmo. E ricordo quel nostro viaggio a Torino per raggiungere la nostra amata Scuola Holden, proprio all’evento di Studio, il 7 aprile 2018.
D: Hai fatto una carriera stupenda, passando da un lavoro all’altro, sempre con ottime posizioni e con criterio, seguendo le tue passioni. Oltretutto sei giovanissima. Qual è il segreto di questa tua capacità di adattarti al nuovo?
R: I miei driver principali credo siano la curiosità e la ricerca della perfezione. Mi muove la curiosità sempre: ho accettato di dirigere LinC mossa dalla curiosità, per esempio, e così è stato per tutto il resto. La curiosità permette tutto. Inoltre sono una perfezionista: voglio che tutto quel che faccio tenda alla perfezione. Mi piace fare bene. Cambiare permette di immergersi in mondi sempre nuovi, di imparare e quindi di fare ancora meglio nel presente e dopo.
Il mondo della comunicazione è molto ampio e complesso. Bisogna ascoltarlo, monitorarlo, studiarlo. Bisogna comprendere l’altro.
Quando costruisci una rivista per un’azienda devi essere in grado di comprendere cosa cerca l’ufficio comunicazione. Quando lavori in un ufficio stampa devi comprendere cosa serve al giornalista, metterti nei suoi panni. Quando crei contenuti per una rivista, devi comprendere cosa interessa al tuo lettore e come il mondo esterno vuole essere raccontato. È un mondo in continua evoluzione: non puo mai stare fermo.
D: Che ruolo ha avuto il network?
R: Fondamentale. Sin dall’università, alla LUISS – che non ho mai abbandonato, è stato cruciale il network. E credo che la rete che mi sono costruita sia sì strumento, ma anche e soprattutto il risultato di questi cambiamenti di ruolo, posizione e realtà, che mi hanno permesso e mi permettono tutt’ora di vedere il mondo della comunicazione da più punti di vista. Mi porto dietro relazioni sempre diverse, che arrichiscono e contaminano.
D: E il coraggio? Perché ci vuole anche quello per cambiare, no?
R: Certo, anche il coraggio. Non posso dire di essere la persona più coraggiosa, ma certamente una dose di coraggio è necessaria nel momento in cui decidi di cambiare. Non nascondo che ho avuto dubbi e perplessità prima di ogni cambiamento. In questo contesto il coraggio gioca la sua parte, ma non è tutto. La spinta principale arriva secondo me, come dicevo, dalla curiosità.
D: Descrivici Rivista Studio.
R: Rivista Studio è una rivista da collezione. È un magazine di approfondimento trasversale, capace di andare a fondo delle cose. Fa una ricerca accuratissima. Vuole dare un punto di vista sempre nuovo e diverso. Con un’attenzione sempre massima al bello.
D: Come si costruisce una rivista?
R: Una rivista è un’opera d’arte collettiva, il risultato del lavoro di squadra: tutti hanno un ruolo fondamentale. Tutti hanno la stessa importanza: da chi gestisce il conteuto ai creativi, dagli illustratori ai grafici. E tutti devono essere pronti ad ascoltare il parere di tutti, a essere flessibili al cambiamento. Se all’ultimo minuto a qualcuno quella copertina non piace più, allora devi prendere in considerazione il fatto di cambiarla o di uscire con più copertine diverse. Ascolto, flessibilità e adattamento sono cruciali.
D: Qual è l’attività che hai seguito in Studio che più ti è piaciuta?
R: Premesso che tutti i giorni per me sono importanti allo stesso modo, ti direi forse l’evento di presentazione del numero #40 di Rivista Studio, che abbiamo organizzato presso lo Starbucks Reserve Roastery di Milano nel settembre 2019. Quella sera ho toccato con mano per la prima volta direttamente, e non più solo da spettatrice, la bella contaminazione che ruota intorno al mondo di Studio.
D: In quanto tempo si costruisce un magazine?
R: Il tempo previsto per la pubblicazione specifica per quella rivista. Ma in realtà c’è un altro tempo, quello indefinito della ricerca: il tempo della ricerca continua, il tempo del tuo background.
Io leggo di tutto, da anni: dalle ultimissime riviste ai giornali aziendali o di design anni ’50, dalle riviste di moda e stile, arte e architettura, alle riviste indipendenti. Colleziono magazine e quotidiani da ciascuna città che visito. La ricerca è continua, non si ferma mai. Solo così da un giorno all’altro posso adattarmi al cambiamento e rispondere alle esigenze di clienti che operano in qualsiasi settore.
D: In Studio, come vi siete adattati a questo immenso cambiamento che ha portato Covid-19? E come cambierà il mondo dell’editoria?
R: Per costruire una rivista è fondamentale il lavoro di team: per creare una pagina, per esempio, ci si lavora contemporaneamente con più teste. Ed è diverso farlo a distanza, condividendo una schermata. Il lavoro comunque è andato avanti benissimo, perché siamo estremamente organizzati.
Lavorando da casa si perde però qualcosa. Quel qualcosa è la casualità del momento, il pensiero creativo: manca quella rivista scorta per caso sulla scrivania di un collega, quell’incontro inaspettato, quell’idea che nasce per contaminazione. Quindi ecco il lavoro funziona, ma la creatività perde un po’ il proprio lustro.
E poi naturalmente c’è tutta una parte delle nostre attività che si è interrotta; mi riferisco agli eventi. Molto è stato traghettato sul digitale. Ci siamo anche inventati cose nuove, certamente: nuovi format digitali.
Il Covid-19 di per sé non ha portato grossi cambiamenti in questo senso: li ha accelerati. I nuovi format digitali li avevamo già in mente, ma si rimandava, come capita di rimandare qualcosa mentre sei concentrato su altro. Ma questo vale per tutto: il mondo era già digitale. Abbiamo solo accelerato.
Lo scorso novembre sono stata a New York e lì ho visitato Casa Magazine, che ospita 250.000 riviste, il mio paradiso.
Le riviste saranno sempre più da collezione, saranno sempre più di approfondimento e offriranno tanti contenuti preziosi, tutti insieme. Sul digitale tutto questo risulta dispersivo. Il mix tra digitale e fisico sarà sempre più importante e marcato.
Il lettore deve sentire che quel contenuto arriva a lei o a lui, non al pubblico in generale, bensì proprio a te che stai leggendo ora. Inoltre il giornalista deve essere in grado di mutare, essere flessibile più che mai: il contenuto resta, ma cambia il contenitore, la forma. Il giornalista credo debba essere sempre più un curatore di contenuti.
D: Le tre riviste internazionali che preferisci?
R: Questa domanda è la più difficile di tutte. Se me la riproponi ogni settimana, cambio la classifica ogni settimana. La risposta evergreen è questa: la mia bibbia è The New Yorker, il magazine che mi ha ispirata di più quando mi sono trovata a dirigere una rivista aziendale, LinC di Manpower. Come dicevo, allora non avevo mai creato un magazine. Quindi l’ho studiato in ogni minimo dettaglio e mi sono molto ispirata, anche nella scelta delle copertine illustrate, degli illustratori…
Poi c’è The New York Times nella sua complessità, con tutti i suoi magazine di approfondimento. Da un punto di vista di studio e nuovi formati, video e documentari è sempre molto avanti. Li trovo molto interessanti da studiare, perché hanno sempre quello sguardo proiettato sul futuro: anticipano l’interesse verso certi contenuti. Se non sbaglio, sono stati i primi a sostituire la “rubrica viaggi” con la “rubrica case” in questa fase di emergenza: sono stati i primi a farlo.
La terza rivista riferimento per me è Monocle, magazine a cui Rivista Studio credo si sia ispirata agli inizi. Una rivista molto trasversale, molto curiosa. Pubblicano anche delle bellissime riviste sulle città, scritte con lo stile dei redattori di Monocle, con un’attenzione al dettaglio: ci trovi delle chicche che altrove non troveresti. Sono molto bravi anche nello studio di nuovi formati: app e podcast, per esempio, costruiti anche con i brand. E poi Monocle ha anche creato momenti di fisicità: ha aperto negozi in tutto il mondo, creando punti fisici in cui la community di Monocle si può incontrare. Queste le tre riviste bibbia per me.
Poi se vuoi ne menziono altre tre, che sono riviste indipendenti, su cui io faccio più ricerca perché sono riviste che nascono, muoiono, rinascono. Magari nascono da un gruppo di creativi che s’incontrano a un festival… possono durare anche poco, come si è sempre fatto nei secoli: la rivista è sempre stata un modo per raccogliere e mettere insieme idee. Penso a grandi artisti, pensatori, politici… la rivista è sempre stata il punto massimo di raccolta di pensieri.
Ho scoperto per esempio Monu, una rivista di urbanistica nata a Rotterdam, che sto studiando perché insieme a un brand stiamo creando una rivista di urbanistica che uscirà a settembre.
Poi c’è Lapham’s Quarterly, rivista ultracentenaria, che ho riscoperto proprio quando sono stata a Casa Magazine a New York a novembre. Sembra un libro. È un trimestrale che raccoglie saggi su un tema verticale sempre diverso.
E poi c’è The Face, una rivista che nasce a Londra, totalmente pazza. Sperimenta moltissimo sul digitale e sulla fotografia.
La prossima settimana se vuoi posso elencartene di nuove… (sorrisone).
D: Un libro che raccomandi?
R: Ne ho uno per Young Women Network: “Basta! Il Potere delle Donne contro la politica del testosterone” di Lilli Gruber. L’ho letto sottolineando e risottolineando pagine su pagine. Lo consiglio perché è una giornalista donna, è una delle prime donne ad aver avuto successo in televisione, ed è una delle poche.
Se ci pensiamo bene, i commentatori di rilievo e i direttori non sono mai donne. O se sono donne, dirigono giornali femminili.
Anche gli ultimi cambi di poltrona tra i quotidiani italiani non hanno previsto donne. Poi devo dire la verità che ammiro tutti i direttori uomini delle principali testate attuali. Però, ecco, sono certa che questo libro ci faccia riflettere anche su questo: è un tema fondamentale della nostra società. Poi lei è stupenda, ci racconta tra le altre cose di quando era stata eletta “la donna più scopabile della televisione italiana”, per dire che ha vissuto da vicino tutte le problematiche legate al fatto di essere una donna. Inoltre Lilli Gruber per me è stata la prima che mi ha fatto avvicinare a questo mondo: i suoi libri sul giornalismo sono stati i primi che ho letto.
D: Un consiglio che vuoi dare alle lettrici e ai lettori del blog, da un punto di vista di crescita professionale?
R: Non avere paura di sconfinare. Anche quando ti trovi in una situazione di equilibrio, è importante non avere paura di dire sì a una proposta.
Ti faccio l’esempio di Italia Camp: quando mi è stato chiesto di entrare nel board, era un momento della mia carriera in cui sentivo di stare bene, ero appagata e già abbastanza piena. Tuttavia il fatto di accettare mi ha aperto tutto un nuovo mondo, un nuovo network. E mi ha dato anche modo di mettere a terra tutte quelle competenze che avevo accumulato negli anni precedenti. Ho messo a disposizione quello che avevo imparato e allo stesso tempo ho dovuto cambiare mentalità, perché stare in un board non è come guidare un team o dirigere un magazine: è una cosa ancora nuova e diversa.
Il fatto di sconfinare permette insomma di stare sempre aggiornata, essere sul pezzo, non avere mai paura di dire la tua.
Questo vale per tutto, anche per la vita personale, secondo me.
Anche nella vita privata, infatti, magari si è arrivati a una situazione di equilibrio, si sta già bene, ma si può aggiungere sempre qualcosa: fare famiglia, si può comprare una casa, si può pensare di avere un figlio, si può andare in vacanza….
Sento di aver avuto degli esempi molto positivi, dai miei nonni ai miei genitori: mi hanno insegnato che tutto è possibile. Non esistono condizioni impossibili, da un punto di vista sia personale che professionale, che poi sono un tutt’uno. La vita è un mix di tutto, non c’è per me una divisione netta. E poi il mio vissuto personale mi ha convinta ancor di più.
Penso al matrimonio: si può scegliere di non fare questo passo. Stavo già bene così, avevo già un rapporto di coppia che funzionava benissimo. Perché spingermi avanti e sposarmi? Perché comprare casa? Perché cambiare lavoro? La motivazione è sempre la stessa: non provarlo avrebbe lasciato qualcosa a metà. Peccato non provarci. Poi sono assulutamente aperta a tutto, non giudico mai. È tutto troppo personale, quindi non darei mai consigli a nessuno su questo. Queste la mia esperienza e le mie sensazioni. Quello che mi guida è: “Perché non provare?”.
Ricordo che Serena ha scritto un libro: “Comunicare meno. Comunicare meglio”, edito da Guerini, 2017. A gennaio 2020 è uscito in versione ebook.
D: Cosa significa per te questo libro?
R: Quando la casa editrice Guerini mi ha chiesto di scrivere un libro sulla comunicazione in sei mesi di tempo, avevo già in programma due matrimoni (Serena si è sposata all’estero e poi in Italia, nda), ma soprattutto avevo in programma di cambiare lavoro. Insomma, ho accettato, ma con la paura di non farcela.
Ripensandoci oggi, dev’essere stata proprio quella densità di cambiamenti ad avermi portata, in modo del tutto naturale, a fare ordine nel mio mondo. Così ho avviato un’inchiesta per raccontare l’importanza di una comunicazione di qualità e non di quantità: nei giornali (con Ferruccio de Bortoli), nei magazine aziendali (da Pirelli a Eni, fino a Toilet Paper con Maurizio Cattelan), nelle librerie (con Pietro Biancardi), nella letteratura (con Michele Mari) e così via.
“Meno e meglio” è diventato il mio mantra nella vita e nel lavoro.
Grazie tanto Serena per la condivisione.
Scritto da Natasha Aleksandrov