Libere professioniste, lavoratrici autonome e imprenditrici: il coraggio di scegliere la propria strada

A cura di Veronica Buonocore

Sappiamo tutt* quanto in Italia sia spesso difficile per una giovane donna farsi strada nel mondo del lavoro, figuriamoci se sei giovane, donna e libera professionista, lavoratrice autonoma o imprenditrice!

Per questo, ho scelto di raccontarvi 4 storie di giovani donne libere professioniste e imprenditrici, tutte diverse ma unite da un grande coraggio e desiderio di far sentire le proprie voci.

Oggi potrete leggere le prime 2 storie ma non perdete il prossimo appuntamento nel mese di maggio!

In generale, la situazione delle lavoratrici a partita Iva in Italia che, secondo le stime dell’Istat, sono circa un milione e mezzo, di cui circa mezzo milione sono anche mamme, non è delle più rosee.

Queste donne, provenienti da background ed esperienze diverse, come provette equilibriste e giocoliere, cercano di raggiungere faticosamente un equilibrio tra lavoro e vita privata, tentando di compensare con i loro talenti e qualità l’assenza pressoché totale di tutele e una flessibilità sbandierata come vantaggio ma che troppo spesso cela condizioni di precarietà.

Sono le lavoratrici senza ferie, senza malattia, senza tredicesima, senza diritto all’allattamento e con poche garanzie in tema di congedi di maternità e paternità.

Al di là delle libere professioniste iscritte alle casse di previdenza dei rispettivi ordini professionali, che prevedono un minimo di tutele ad hoc e differenziate, solo nel 2016 il Jobs Act ha previsto per le lavoratrici autonome o libere professioniste iscritte alla gestione separata dell’INPS la facoltà di usufruire del congedo di maternità 2 mesi prima del parto e per i 3 mesi successivi; ai padri invece spettano 3 mesi dopo il parto ma solamente nei (rari) casi in cui la mamma sia completamente assente o non usufruisca del congedo. Per quanto concerne l’importo, l’indennità dovuta è pari all’80% della retribuzione giornaliera stabilita annualmente dalla legge per il tipo di attività svolta oppure da calcolarsi rispetto alla media del fatturato dei 12 mesi precedenti.

C’è però un aspetto cruciale da tenere in considerazione, ovvero che la legge non fa mai riferimento a un obbligo di astensione dal lavoro, come si prevede invece per le lavoratrici dipendenti, ma a una mera facoltà.

È facile quindi immaginare come la maternità si tramuti in un diritto negato; spesso, infatti, le libere professioniste e/o lavoratrici autonome, per timore di perdere la clientela e/o per pressioni di responsabili nel caso in cui lavorino in realtà associate, staccano dal lavoro a soli pochi giorni dal parto e riprendono le loro attività a distanza nelle settimane successive, lavorando di fatto anche durante il periodo di congedo. Inoltre, non sono riconosciuti i riposi giornalieri per l’allattamento previsti invece per le lavoratrici dipendenti.

Occorre quindi constatare come purtroppo nel nostro Paese le lavoratrici a partita IVA siano considerate di serie B, non meritevoli di adeguate tutele, mentre spesso la creatività e il valore che apportano alla comunità grazie alla loro passione e tenacia sono straordinari.

Conosciamo allora meglio le nostre 2 protagoniste di oggi.

Avvocate d’affari: S. ci racconta la sua storia

S., che preferisce restare anonima, è una socia di Young Women Newtork e una giovane avvocata d’affari che lavora presso un blasonato studio legale milanese, uno di quelli in cui, quando varchi la soglia, ti sembra di essere magicamente entrat* nell’olimpo giuridico, quasi ti illudi di essere arrivat* sulla cima della montagna.

Un paradiso scintillante, che tuttavia cela sacche di profonda oscurità.

Da un lato, lavoro stimolante, elevata professionalità, clienti importanti e grandi responsabilità.

A fare da contrappeso, scarsa attenzione alle persone e miopia nella gestione dei loro percorsi professionali, che acuiscono il peso già notevole di una professione logorante, che non conosce orari o tutele.

Raramente S. si è permessa il lusso di ammalarsi, e quasi sempre si è recata comunque in studio. Quella volta in cui non lo ha fatto perché la febbre alta le impediva di alzarsi dal letto, si è sentita rispondere “non siamo operai, non possiamo permetterci di ammalarci”, con una nota di classismo neppure troppo velata che le ha fatto salire la nausea.

Questo mondo non mi appartiene, ha pensato d’istinto.

Poi però ha iniziato a domandarsi se non fosse lei quella sbagliata, la ragazza ingenua e fragile cui era stata data un’opportunità enorme e che osava persino lamentarsi!

E così ha preferito resistere, testa bassa e sguardo chino, in fondo doveva imparare ancora tanto e concentrarsi sull’esame di stato.

Ma presto sono arrivati di nuovo altri dispiaceri, perché S. scontava la colpa di convivere felicemente con il proprio compagno da tanto tempo, e quindi, ça va sans dire, di essere ormai pronta per il matrimonio e la maternità! Poco importa se al momento i suoi piani erano decisamente altri, ormai era stata stigmatizzata, al punto che spesso le chiedevano: “Ma alla tua età e dopo anni di convivenza quindi quando ti sposi?”, o comunque facevano allusioni al fatto che fosse arrivato il momento di mettere su famiglia.

Un’altalena di emozioni, fatta di soddisfazioni e complimenti dai clienti che apprezzavano le sue qualità professionali e umane, e bocconi ingoiati con l’amaro sulle labbra per non essere valorizzata come persona da collegh* o responsabili e anzi essere esclusa e relegata ai margini, sentendosi costantemente fuori posto, qualche volta persino una misera fallita.

Quanta la rabbia provata, che anneriva qualsiasi cosa.

Troppi i momenti in cui ha sentito di annegare, con il respiro che si perdeva nella gola.

Nonostante le difficoltà, S. ha però capito una cosa fondamentale: che quando sarebbe toccato a lei gestire delle persone, già sapeva come non avrebbe mai dovuto comportarsi.

E che comunque fosse andata, nonostante la cocente delusione e l’amarezza per non essere stata compresa e apprezzata, ci sarebbe rimasto qualcosa da salvare: un’esperienza professionale di primo livello, che le avrebbe fatto risplendere il curriculum, consentendole il lusso di poter scegliere un posto in cui sentirsi davvero bene.

Abbandonando quella gabbia dorata da cui volare via per tornare a respirare.

L’impresa di essere una mamma a partita IVA: ecco cosa ci ha raccontato la nostra socia Melania Pujia

Raccontaci meglio chi sei e di cosa ti occupi.

Sono un’architetta che si occupa di progettazione di interni e di interior design.

Dopo avere lavorato nel settore del real estate a Napoli, la mia città natale, 10 anni fa ho deciso di trasferirmi a Roma, dove ho svolto la professione per un periodo in uno studio associato con altr* collegh* e poi, con la nascita del mio primo figlio, ho approfittato della pausa della maternità per mettermi in proprio. Successivamente, ho deciso di provare di nuovo l’esperienza dello studio associato, per poi tornare a lavorare da sola dopo la nascita della mia seconda figlia nel 2019.

Ho sempre voluto occuparmi di interior design e di styling della casa, perché mi piace dare una connotazione stilistica al mio intervento di architetta e rendere il mio stile riconoscibile. In questo momento sto lavorando come libera professionista ma non ho un ufficio vero e proprio, ho organizzato una zona studio a casa, anche se il mio progetto futuro è quello di lavorare in un co-working insieme ad altr* creativ*.

Cosa ti piace di più della professione di architetta e del fatto di essere una professionista autonoma?

Per me la mia professione è proprio una droga, è quello che amo fare e che mi è sempre piaciuto; ricordo che sin da bambina mi piaceva guardare le vetrine dei negozi di arredamento, credo che avrò avuto 8/9 anni quando ho deciso che avrei fatto l’architetta.

In particolare, mi dà soddisfazione vedere quello che ho immaginato in un’abitazione concretizzarsi e soprattutto la possibilità di far cambiare idea e punto di vista ai clienti che, a mio parere, dovrebbero affidarsi a un* professionista proprio per essere condotti in luoghi inesplorati e a cui non avrebbero mai pensato di poter giungere.

Rispetto ai vantaggi di essere una libera professionista, sicuramente quello principale e è la possibilità di decidere in autonomia come organizzare il mio tempo e quindi di poter essere presente come mamma per i bambini anche in orari insoliti; ad esempio, posso decidere liberamente di non lavorare un pomeriggio e portare i miei figli al parco. Inoltre, lavorando da sola riesco anche a gestire meglio gli imprevisti e le urgenze che spesso si presentano nella vita quotidiana, seppur dividendomi i compiti con mio marito, che è molto presente e mi aiuta molto.

Quali ritieni invece siano le difficoltà maggiori per una giovane donna libera professionista?

Purtroppo, chi decide di intraprendere la libera professione deve essere consapevole del fatto che vita personale e professionale si intrecciano spesso, per cui è importante e necessario trovare un equilibrio, altrimenti si corre il rischio di venire travolti dagli eventi.

Allo stesso tempo, è essenziale tenere a mente che non bisogna farsi assorbire troppo dagli impegni della vita privata, si deve imparare a delegare (ad esempio come ho fatto io tramite la baby-sitter che mi aiuta come i bambini) perché altrimenti si corre il rischio di perdere un contatto o non essere brav* sul lavoro, minando la sicurezza in se stess*.

Purtroppo questo rappresenta un grande svantaggio, soprattutto per le neo-mamme; è infatti un dato di fatto che chi non si mostra “sul pezzo” e sempre presente perde delle opportunità lavorative, che vengono immediatamente colte da un collega uomo o da una donna che non ha figli piccoli, e queste situazioni fanno sentire le giovani professioniste insicure. È quindi importante per le lavoratrici a partita IVA mantenere sempre alta l’asticella dell’aspirazione e la concentrazione, non possono permettersi il lusso di rilassarsi troppo o fermarsi, neppure durante il periodo di maternità.

 Ritieni che i congedi e/o le indennità di maternità previsti per legge per le libere professioniste siano adeguati?

 Sicuramente si potrebbe fare di più, io ho usufruito del congedo di maternità previsto dalla mia cassa di previdenza, il cui importo comunque non equivale al 100% della retribuzione come per le lavoratrici dipendenti, ma per la seconda gravidanza ho volontariamente scelto di stare ferma più tempo di quanto il congedo permettesse, per potermi dedicare completamente a mia figlia e ad attività di formazione.

Ho lavorato fino a un mese prima del parto, poi ho usufruito dell’indennità una tantum prevista per legge e, successivamente, quando la bambina ha compiuto 6 mesi, ho deciso comunque di prolungare la maternità perché non volevo lasciarla da sola per troppo tempo al nido. Alla luce di questa mia scelta, per diversi mesi non ho percepito alcun compenso, non avendo lavorato; tuttavia, ho comunque dovuto sostenere le spese fisse legate al mantenimento della partita IVA e della previdenza.

 È stato difficile rientrare al lavoro dopo la maternità e come è cambiato il tuo modo di vivere la professione da quando sei diventata mamma?

 È stato difficile i primi tempi ma anche dopo in realtà perché i bambini hanno bisogno di attenzione, mentre la professione di architetta richiede dei tempi di maturazione e di concentrazione per diverse ore su un lavoro, e con i bambini non si è mai veramente liberi mentalmente, cambia per sempre il tuo modo di pensare perché una parte di cervello è connessa al lavoro ma l’altro emisfero sta pensando al fatto che nella stanza di fianco i tuoi figli sono da soli.

Per questo, è importante imporsi dei limiti di tempo e di spazio in cui staccare dal lavoro.

Ad esempio, recentemente ho deciso che la domenica non voglio più occuparmi di nulla a livello lavorativo, anche se ho delle urgenze, perché mi sono resa conto che non staccare la mente dal senso di colpa che ho verso il lavoro non mi fa comunque essere presente al 100% per la famiglia. Da questo punto di vista, i bambini mi hanno aiutata molto, hanno fatto sì che impostassi dei tempi in cui il lavoro non esiste, ad esempio la domenica o in determinate fasce del pomeriggio. Quei momenti infatti sono dedicati solo a loro, e questo mi dà tranquillità e ordine mentale.

 A tuo parere, quali misure si potrebbero adottare per favorire davvero la conciliazione tra maternità e lavoro?

Credo che lo Stato dovrebbe offrire dei servizi pomeridiani per le donne lavoratrici, incentivando la possibilità per i genitori di poter lasciare i/le bambin* più a lungo nelle scuole e/o nei nidi pubblici, sarebbe bello poter usufruire ogni tanto durante la settimana di questa possibilità, soprattutto per chi come non ha il supporto dei nonni e/o della baby-sitter tutti i giorni. Dall’altro lato, capisco che sia difficile implementare una soluzione del genere perché anche i bambini sono stanchi e hanno diritto a riposare, passano già molto tempo fuori casa.

Sarebbe bella come soluzione più creativa quella dei “nonni in affitto”, ovvero dare la possibilità a degli anziani soli di stare vicino a dei/delle bambin* in cambio di un guadagno aggiuntivo alla pensione, in un reciproco scambio di affetto generazionale, aprendosi agli altri con semplicità e abbandonando le reciproche diffidenze.

 Quale consiglio daresti alle giovani ragazze libere professioniste che vorrebbero formare una famiglia ma hanno il timore di non riuscire a trovare un equilibrio tra lavoro e vita privata?

 Innanzitutto, essere indulgenti con se stesse, perché viviamo nella società della performance ed è facile essere prede della onnipresente sindrome dell’impostore; intendiamoci, è giusto che ognuna di noi abbia un obiettivo, perché è il motore che ci spinge ad alzarci ogni giorno, ma bisogna imparare anche a coltivare l’autodisciplina, impostando la propria giornata e facendo la propria parte per quello che si riesce, respingendo il senso di colpa che è sempre dietro l’angolo.

È sufficiente e importante mettere un tassello ogni giorno e godersi il momento.

A questo proposito, mi viene in mente una similitudine molto calzante che mi ha detto la mia mentor del programma Inspiring Mentor di Young Women Network parlando della maternità (ma che può essere applicata in generale alla vita), ovvero: “È come l’allenamento di una maratona, un giorno può andare bene e un altro no ma non importa perché si ricomincia”.

Fonti:

https://www.elle.com/it/magazine/women-in-society/a26833478/partita-iva-maternita/

https://www.inps.it/

https://www.iodonna.it/attualita/famiglia-e-lavoro/2018/07/09/strategie-per-mamme-con-partita-iva/

https://creativecommons.org/

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