“Avete notato che le onde tendono ad avere una velocità superiore quando arrivano a riva?”
Federica Di Carlo, con il suo lavoro artistico sospeso tra arte e fisica, fa riflettere sulla bellezza delle piccole cose, sui fenomeni fisici che ci circondano, a cui non diamo peso, presi ogni giorno dal nostro viavai frenetico.
Ripenso all’estate, alla spiaggia e alle forme che la luce del sole forma sulle cose che mi sono più care. Il mare, il tempo, le persone della mia infanzia.
La sensazione di rivivere da lontano un momento felice è la stessa che provava Kundera con Sabina nei suoi quadri dentro i quadri? È forse questa l’insostenibile leggerezza dell’essere?
Federica esplora la materia e le leggi della fisica, in collaborazione con gli scienziati e i centri di ricerca più importanti al mondo. Attraverso le sue opere indaga l’emozioni dell’animo umano mettendole in rapporto con la natura e plasmandole con intensa delicatezza.
In questa intervista ci ha dato alcuni consigli per seguire la sua passione, quella artistica, che è una responsabilità per sé stessi e per gli altri! Buona lettura!
Quando hai desiderato diventare un’artista per la prima volta?
Da piccola disegnavo ovunque, su ogni superficie che incontravo, fogli, pareti, la scrivania in legno nello studio di mio padre dove ancora è incisa una piccola figura femminile. In seguito all’età di 5-6 anni, la mia prozia Flò mi porto per la prima volta alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, dove rimasi bloccata davanti alle “tre età della donna” di Klimt. E’ sorprendente come il ricordo di un bambino possa restare così nitido nel tempo. Lì, iniziai ad assimilare che quel mio modo di guardare il mondo veniva verbalizzato nel termine “artista”. Che poi è solo una parola per definire un lavoro. Io sono della scuola che, non “desideri diventare artista”, o ci nasci o non ci nasci.
Che cosa hai studiato?
Ho fatto lo scientifico, perché i miei non volevano che facessi l’artistico nonostante l’insistenza della maestra di arte delle medie. In fondo ero brava in matematica (oggi assolutamente no!) e mi piaceva capire come funzionava l’assetto del mondo. Ma non appena rientravo a casa mi mettevo in camera a dipingere o disegnare senza perdere la vecchia buona abitudine delle superfici improbabili (finestre, armadi, termosifone, soffitto).
In seguito, contro il parere di tutti, feci dieci giorni di esami per l’ammissione all’Accademia di Belle Arti di Roma. Una fatica vana, perché l’Accademia si rivelò una delusione, di basso livello, eri sostanzialmente abbandonato a te stesso. Così pensai che potevo imparare di più dal mondo, la feci a modo mio… ogni anno in una città diversa: Roma, Barcellona, Bologna, laureandomi poi a distanza da Barcellona con esame finale a Roma.
Quando hai deciso di seguire la tua passione?
Non ho deciso, non ho seguito. Ho vissuto la mia vita attraverso quello che sentivo. Perché non riuscivo a fare altro, a farne a meno, “fare arte” era un’urgenza. Un atto vitale autonomo e naturale come il respiro. Il surf, quella per me è una passione.
C’è stato qualcuno o qualcosa che ti ha aiutato?
Gli “incontri”, nella vita sono le scintille più importanti. L’incontro con qualcuno può cambiare tutto, determinare tutto, mettere in discussione tutto. Bisogna essere fortunati e saperli riconoscere per tempo.
Per me che non ero cresciuta sotto l’ala di nessun artista, che ero nomade, che avevo viaggiato dieci anni lontana dall’Italia, quell’incontro avvenne un anno dopo il mio rientro a Roma. Nel 2011, conobbi l’artista degli anni 70’ Fiorella Rizzo. Fu una scintilla, un riconoscimento reciproco. L’incontro con un Maestro.
Una ragazza che veniva da Lecce e che trasferitasi a Roma si ritrovò giovanissima in mezzo ad artisti come De Dominicis, Ontani, Kounellis ecc. in un periodo storico che ha certamente segnato la storia dell’arte. La sua persona, il suo rigore nel lavoro, i nostri dialoghi mi hanno aiutata nel tempo a mettere a fuoco la mia ricerca ancora più.
Quale è stato il momento più difficile nel tuo percorso?
Accettare le regole del gioco. Scendere al compromesso emotivo. Accettare la parte lavorativa del “fare arte”, che è molto poco romantica, che è tale quale ad un qualsiasi altro lavoro.
Raccontami un aneddoto che ha cambiato la tua vita e la tua arte
Nel 2010 feci un incidente, ero rientrata a vivere in Italia da pochi mesi, era inverno. Stavo guidando il motorino e all’improvviso il mio cervello si è spento. Ovviamente mi sono schiantata a peso morto sull’asfalto e svegliata un giorno e mezzo dopo in ospedale. I medici non hanno saputo dirmi esattamente cosa mi fosse successo. Non era stato un ictus, un attacco epilettico, uno svenimento ecc. Ripetevo ogni tre minuti in che anno o in che giorno fossi e se mio nonno fosse ancora in vita. Avevo perso il senso del tempo.
Avevo capito, sperimentato, la teoria dello spazio-tempo di Einstein. Da quel giorno è cambiato tutto. È stato come uno sparti acque nella mia vita e ricerca artistica. Non sono più stata la stessa persona. Non ho mai più usato un orologio. E da lì ho iniziato a studiare i trattati di fisica sulla luce e sul tempo.
Come descriveresti la tua arte e quali sono le tue prossime mostre?
Come un’esigenza. Una volontà di mostrare, ricordare che il nostro mondo, le nostre emozioni si reggono su equilibri naturali in continua trasformazione tutti inevitabilmente connessi tra loro. Un esperimento.
Attualmente è in corso la mostra collettiva “Ecovention Europe: Art to Transform Ecologies, 1957-2017″ curata da Sue Spaid presso il Museo De Domijnen in Sittard fino al 7 gennaio.
Per la giornata del contemporaneo parteciperò con il lavoro “Hold infinity” alla mostra presso L’archivio della Fondazione Menna-Binga a Roma.
Ottobre e novembre sarò invece in residenza in Francia presso the Bureau des Arts et Territoires, con il mio progetto dal titolo “L’insostenibile leggerezza dell’essere”; una mappatura delle atmosfere e della luce dei luoghi in cui vengo ospitata, dove rifletto sul tema del confine in rapporto alla situazione del riscaldamento globale.
In amore meglio un’artista o un matematico?
Un artista matematico o un matematico artista.
Qual è il tuo posto preferito di Milano? E di Roma?
A Milano mi piace molto andare a leggere o bere sulla Darsena, su uno dei pontili in legno possibilmente.
Di Roma, amo l’osservatorio di Monte Mario, il ponte della musica, e l’Aurelia perché mi porta al Mare.
Qual è il tuo rituale quando vuoi cercare ispirazione?
Non ho un rituale, forse potrei dirti che le idee migliori mi vengono quando sono al mare e quando corro o cammino a lungo. Comunque in situazioni dove il corpo combacia con la mente.
Di cosa hai paura?
Che succeda qualcosa alle persone che amo.
Quali sono i 3 consigli che daresti ad una giovane ragazza che vuole seguire le proprie passioni e diventare un’artista di successo?
Fare Arte oggi è un atto di coraggio, una responsabilità in un mondo che si trasformando, che sta implodendo. Ci vuole fiducia, sincerità coerenza verso il proprio lavoro e verso gli altri. Non essere rigidi, essere acqua che si modella che cambia il suo stato. Ricordarsi che gli artisti sono come delle antenne che captano i segnali ancora invisibili attorno a loro e li restituiscono attraverso le opere.
Fotografia di Lorenzo Bacci
Articolo scritto da Francesca D’Amico